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Molto probabilmente non verranno menzionati in nessun volume di storia della musica, né verranno ricordati come alfieri di un nuovo movimento musicale; nonostante tutto, senza quell’aura da rivoluzionari, il suono dei Real Estate è riconoscibile, unico. La loro musica ti accompagna soavemente in macchina, non ti chiede nulla in cambio, è un meccanismo ben oliato capace di catalizzare emozioni e di restituirle all’ascoltatore in forma di canzone pop. Se Atlas era un delizioso acquerello dalle tinte autunnali, Many Moons, esordio solista del leader del quartetto del New Jersey, ci appare più come un bozzetto primaverile.
Seguendo le orme del sodale Matt Mondanile con i suoi Ducktails, Martin Courtney cade nell’autocitazionismo e nella ripetitività. Non mancano le melodie brillanti, per carità, ma a volte ci si chiede ingenuamente quale sia il senso di questi side project, vista la somiglianza di genere e sonorità con l’”ovile” Real Estate.

L’opening track, Awake così come la prima parte di Many Moons, come già accennato sopra, sembra la naturale prosecuzione della seconda porzione di Atlas; del resto la qualità delle tracce è la medesima. Atmosfere rurali e suburbane assieme si fondono nelle successive Foto e Vestiges: qui Courtney trae forza dalla sua prevedibilità da abile sciorinatore di melodie rilassanti quale è. L’arrangiamento è più curato e meno lo-fi degli ultimi Real Estate, aggiungendo una patina retrò-folk al carattere dei brani. La title-track, abile esercizio indie pop, è quanto mai barocca e funge da cerniera tra i due lati dell’lp. Gli ultimi brani, più intimi e cantautorali, offrono ancor meno varietà e sono inflazionati dalla derivatività che richiama autori come Van Morrison. Nonostante tutto, Airport Bar chiude brillantemente Many Moons, aggiungendo un po’ di verve e brio, con quel trademark caratteristico che suole contraddistinguere il chitarrismo di Courtney & soci.

Se siete fan dei Real Estate, non potrete non apprezzare l’ultimo sforzo del frontman, Many Moons scalderà i vostri apparecchi dispensando mood nostalgici e romantici. Rimane la constatazione o quantomeno il dubbio della pleonasticità dell’operazione, anche se in realtà l’approccio giusto all’ascolto dell’album è di immaginarsi al volante percorrendo sentieri immaginifici lungo memorie sfocate.

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