Anno Domini 2014: tutti matti per l’ebola, i leak di Kate Upton e il nu-soul.
È così che avremo la fortuna di entrare nella storia?
Forse no ma qualcuno sta dando una mano a raggiungere il prestigioso obiettivo e qui non si parla nè di malattie nè di tette. Questo qualcuno nello specifico è Matthew Hemerlein, giovane androgino di bellissime speranze del Maryland. Con un’istruzione musicale classica alle spalle fra un viaggio e l’altro in giro per il mondo sviluppa tassello per tassello questo Blue Film che nasce nel mondo delle idee come mixtape e diventa poi un album vero e proprio. Nel frattempo colleziona collaborazioni di alto livello; l’aiuto di François Tétaz nella realizzazione dell’album ma anche l’endorsment di Lorde che lo vuole ad aprire i suoi concerti e la scelta di Baz Luhrmann come colonna sonora di uno spot per Chanel.

L’Hemerlein si danna l’anima e si mette a nudo realizzando un album a metà tra James Blake, da considerare come il progenitore (maledetto) per tutto questo filone, e un Tom Krell con un tono leggermente più virile. Ma poco eh. Le atmosfere sono pescate da quell’ormai solito calderone di R&B, sintetizzatori e archi a luci soffuse, pop orchestrale sommesso, voce sofferente e strascicata, mood notturno.
Bisogna riconoscere a Lo-Fang un notevole impegno nell’aver plasmato questo album con le proprie mani e quasi solamente quelle: chitarra, violino, violoncello, piano e synth sono tutti suonati da lui medesimo.

Blue Film in India è una metafora per il termine pornografia: e tutto l’album non manca mai di mettere sotto lo sguardo dell’ascoltatore gli aspetti più scabrosi e squallidi dell’animo umano.
When We’re Fire tratta di una cocente, è il caso di dirlo, delusione sentimentale. Rimane una mosca bianca a livello musicale essendo forse il brano più animato e coinvolgente, il ritornello è quasi da cantare a voce alta: un synth pop ben costruito nella sua semplicità viene arricchito qua e là e corredato da un testo accattivantemente sudicio, Lately nothing has been coming easy / Only nocturnal blue movies / Pink kimono on the floor. Le si accompagna l’altrettanto commerciabile Look Away, singolo apripista appoggiato da un video bipolare, prima psichedelico e colorato, poi virato di colpo su riprese di interni in una palette autunnale.
Non si sa se per rendere il lavoro più corposo o per una precisa scelta affettiva (mi piace pensare che la seconda ipotesi sia quella vera) ma ben due canzoni sono cover: viste le premesse provate voi a riconoscere You’re the One That I Want (sì, sì proprio quella) in questa versione inballabile da palco deserto, con il synth in crescendo sul ritornello e nessuna Olivia Newton John che sculetta in leggings ma un uomo solo, secco come un chiodo, perso nel buio.  L’altra cover, molto meno celebre, è Boris
del duo tutto femminile svizzero-tedesco Boy, una canzoncina pop che parla in prima persona dell’ossessione della voce narrante per una ragazza. Nota a parte, pare che il Boris del titolo sia l’autore delle molestie e che la ragazza vittima sia una delle due autrici. Lo-Fang prende la struttura della canzone, la spoglia e la riveste con i suoi strumenti, un violoncello strisciante, una batteria che bussa all’orecchio insistente. Si parlava di squallore, si parlava di atteggiamenti vili e patetici in chiave sessuale? Eccoli qua. Rieccoli, presentarsi senza mezzi termini in Animal Urges, situata appena dopo Intro, strumentale per archi di 30 secondi: We rest until / We rend and kill / The thing that / Brought us here / Results of being / Human beings / Prone to hate and fear / Make no mistake / These are animal urges, disillusa e schietta dichiarazione di bassezze delle quali non andare troppo fieri, homo homini lupus?

Quindi cosa succede, perché di fronte a tanta attenzione stilistica, a tanta cura per i dettagli il voto non raggiunge la sufficienza? Caro Lo-Fang, le parti strumentali saranno anche interessanti, non originali e sicuramente influenzati dalla moda attuale ma interessanti; e di sicuro ammiro, come già scritto, il volere essere unico creatore della propria arte. Però qui manca una spinta di qualsiasi tipo, manca la vitalità della sofferenza, c’è una voce monocorde che all’ennesimo verso sospirato rende definitivamente annoiati e le allusioni a luci rosse non bastano a coprire certi vuoti.
Pare, leggendo i commenti su Youtube, che in tanti, tantissimi si siano innamorati di questo progetto sentendolo dal vivo. I casi sono due: o il pubblico di Lorde è facilmente impressionabile da un bel ragazzo dall’aria infelice o in sede live Lo-Fang riesce ad emozionare di più che su cd. E, quale che sia la risposta corretta, Blue Film è una piccola delusione, quaranta minuti di musica fatta con tanto cervello ma pochi polmoni e con un cuore che batte poco e piano.

Traccia consigliata: Animal Urges.