Mentre scrivevo i similar per questa recensione ero tentato di inserire i Krallice o i primi Deafheaven. Sarebbe stato un colossale sbaglio avvicinare due band dignitose (o perfino d’alto livello come i Krallice) a quella presa per il culo volgare che sono e sono sempre stati i Liturgy solo per vaghe, vaghissime somiglianze o provenienze geografiche comuni. Ergo ho optato per vera e propria feccia inascoltabile o progetti ironici come gli INM. Già da questa premessa si potrebbe capire come la penso su questo coso. Dopo un serio ascolto, sia chiaro; perché questa penitenza me la sono voluta infliggere tutta.
The Ark Work è il terzo album della band newyorkese: curioso perché personalmente avevo sacrificato un paio di vergini alle potenze infernali per fare sì che gli autori di Renihilation non vivessero neanche un mese di più e invece mi tocca recensirne un nuovo lavoro. Si scherza, signor Introvigne del CESNUR & eventuali agenti di Polizia all’ascolto, di quelle ragazzine scappate di casa io e i miei amici in tunica nera non ne sappiamo nulla.

Iniziamo l’ascolto accolti dalla portentosa Fanfare: ai fiati devono per forza essere stati messi un gruppo di non udenti sofferenti di asma, altrimenti il risultato atroce non si spiega. La sordità, questa volta non può altro che essere dei membri del gruppo, perdura su Follow: l’elemento che al momento ricordo più vividamente di quei tre minuti di orrore sono gli scampanellii folli, sostenuti da un drumming che a tratti sembra una drum machine (non è un complimento) e a tratti sceglie le ritmiche del djent. Sono osservazioni della minima importanza in realtà, perché il tutto viene colato in un calderone ribollente e il caos la fa da padrone assoluto. Tornano i fiati su Kel Valhaal e questa è forse l’unica differenza che colgo con la precedente canzone visto che ne sembra una (pessima) continuazione con altri mezzi.
Qualche secondo di pace viene dato all’inizio di Follow II: il meraviglioso organo che suona con la profondità di una tastierina Casio mi fa sperare che tutto il resto dell’album sia così. Invece no ed ecco affiorare lenti gli altri strumenti in un chiassoso crescendo demenziale. L’agonia è lenta e dolorosa ma quasi tollerabile se messa al confronto della penultima traccia, Reign Array, undici minuti e trentacinque secondi di soffocante nullità. In mezzo a quesete due dimostrazioni di sadismo ci sono il singolo Quetzalcoatl che, parlando seriamente ricorda davvero da vicino i succitati Impaled Northern Moonforest, la quasi, attenzione, quasi normale e ascoltabile Father Vorizen e la pippa tastieristica Haelegen. Di quel poco, pochissimo che rimane escluso, davvero inutile parlare.

Il progetto Liturgy continua ad assurgere sempre di più al livello di una parodia: niente di male, figuriamoci. In tutta franchezza non penso che il black metal necessiti veramente di parodie, essendo già di per sé pieno di eccessi ridicoli ma una risata in più non fa onestamente male. Qui il problema è che non vedo nè sento ironia: è una band seria che pretende serietà e da qualche parte sul web c’è ancora l’intero, serissimo Trascendental Black Metal Manifesto, abbiate il coraggio di leggerlo se volete difenderli. È allucinante pensare alle band sfornate dalla scena atmospheric black statunitense; Velvet Cacoon & Clair Cassis, Wolves in the Throne Room, Leviathan & Xasthur sul versante depressive. E poi? E poi i Liturgy, pompati a dovere dalle maggiori testate ipste. Ah bene, ok.
Vogliamo dire invece che nonostante i proclami non hanno nulla di black metal (cosa non completamente falsa) ma bensì viaggiano tra lo sperimentale e il math ad mentula canis? Benissimo, il risultato non cambia: io di fronte a cose simili non voglio fare altro che prendere in mano una mazza chiodata. Poi vabbè, siamo nell’internette 3.0 e il concetto di trolling lo conosciamo tutti. Ma, posto che davvero non mi sembra questo il caso, non c’è davvero modo migliore di passare il tempo rispetto a trollare?

Tracce consigliate: ma anche no?