Keith_Richards_Packshot[1]

 

Ha destato qualche perplessità nelle scorse settimane la copertina dell’edizione italiana di Rolling Stone, dove campeggiava in primo piano il faccione di tal Antonio “Stash” Fiordispino, cantante dei The Kolors. La foto, già intrinsecamente comica, appare ancor più pruriginosa se comparata con l’edizione francese, che prevedeva una monografia sul Duca Bianco. Quello che è sfuggito sicuramente alla redazione di RS è l’uscita del terzo lavoro solista di Keith Richards, personaggio che definisce tutti gli stereotipi della rockstar maledetta: tra le cazzate compiute da Keef annoveriamo a) l’essersi pippato le ceneri del padre b) aver rischiato di morire dopo essersi arrampicato su una palma da cocco c) aver dichiarato che Sgt. Pepper dei Beatles è un album sopravvalutato… ah no, quello è vero. Al netto delle sue ultime uscite, non si può comunque negare al chitarrista britannico di aver dato un apporto consistente alla storia della musica, di avere una certa dose di classe nel suo chitarrismo e, diciamocela tutta, anche chi non hai approfondito l’ascolto degli Stones: senza le pietre rotolanti probabilmente staremmo facendo/ascoltando altro.

Sgombriamo subito il campo da potenziali equivoci: questo lavoro non piacerà a chi cerca qualcosa di fresco e nuovo, in Crosseyed Heart, troviamo tutto il background artistico della spalla di Mick Jagger, che a differenza del sodale, non ha mai strizzato l’occhio alle mode e alle ondate che periodicamente caratterizzano le epoche musicali, portando avanti con coerenza il proprio stile, pur quanto oggi possa apparire desueto. Lo ribadisce anche in Life, la famosa autobiografia che descrive con dovizia di particolari gli eccessi e gli attriti di uno dei complessi più influenti della storia del Rock. “That’s all I got”, una sorta di manifesto del proprio credo musicale, viene esplicitato nell’opener acustico che dà il nome all’album, perfetta introduzione per la canonica Heartstopper; le atmosfere si fanno cupe nella malinconica Robbed Blind, dove vengono descritti alcuni problemi con le forze dell’ordine, tema ricorrente nel canzoniere, oltre che nella vita reale di Keef. Se in Trouble, Richards si conferma abile confezionatore di riff, possiamo ammirare la sua poliedricità in Love Overdue, brano con forti tinte reggae, sostenuto a meraviglia da un immenso Steve Jordan (uno dei più grandi session man in circolazione), e Something For Nothing, perla gospel che assieme a Illusion (con la gentile collaborazione di Norah Jones), rende la seconda porzione dell’album particolarmente intimista e seducente.

Vi piacciono gli Stones? Adorate il blues? Date un ascolto a Crosseyed Heart. La voce ruvida e grezza di Richards e la sua Telecaster vi accompagneranno in un viaggio retrò di quindici tracce. Del resto, se Keith pubblica un album a distanza di decenni, ci sarà un motivo. In attesa del prossimo lavoro degli Stones…

Tracce consigliate: Something for nothing