Joan Wasser non dovrebbe avere bisogno di presentazioni. Dopo l’esordio nella seminale band dei The Dambuilders ha lavorato per anni con artisti di primo piano del panorama indipendente ma non solo: da Elton John a Lou Reed a Sparklehorse fino alla recentissima collaborazione sulla ristampa di Hai paura del buio? degli Afterhours.
Infine, l’approdo solista a metà anni 2000 raccogliendo con tre soli album un buon successo di pubblico e critiche positive. Miss Wasser si è sempre tenuta in bilico tra la musica nera e il cantautorato indipendente, a volte dai tratti folk nel penultimo The Deep Field (non ci si dimentichino i suoi studi di violino), a volte più vicina al vocal jazz come sull’esordio ma sempre con personalità e mantenendo il proprio marchio di fabbrica . Non devono quindi stupire le influenze black di questo The Classic, che qui si fanno ben più pressanti che in passato.

I brani in apertura non lasciano spazio a dubbi: Witness e Holy City sono purissimo soul, esuberante e solare come forse non avevamo ancora sentito Joan la poliziotta, accompagnata da backing vocals che non la lasceranno praticamente mai sola durante l’intero album. La titletrack invece è una sorpresa anche per chi sapeva all’incirca cosa si sarebbe trovato davanti: il doo-wop viene contaminato con il beatboxing sincopato. Quasi si fa fatica a crederci, e soprattutto si fa fatica a credere che Joan non sia uscita da una compilation anni 50.
Da segnalare una straordinaria varietà di strumenti presenti su The Classic: dal clavinet esuberante che compare già su Witness agli ottoni squillanti onnipresenti, a tutto questo ben di Dio sulla ricchissima Shame che vede convivere in armonia due diversi sassofoni, tromba, archi, basso Moog e tanto altro con un crescendo finale quasi disco. La successiva Stay è un tributo al femminile ad Al Green (della quale la Wasser è una fan assoluta): guidato dal pianoforte Wurlitzer è l’unico brano malinconico del lotto, dove il suono a tratti si chiude su se stesso e viene riaperto dai sintetizzatori e dagli archi prima ancora che dalla voce. Un’altra straordinaria apparizione del coro, composto da musicisti che ormai accompagnano da anni Joan in studio.
Chiusura con un ennesimo cambio di rotta: Ask Me è praticamente scappata a quella grandiosa raccolta che è stata Darker Than Blue – Soul from Jamdown, selezione di brani storici del soul americano rivisitati da artisti giamaicani in chiave reggae con risultati a volte superiori agli originali. Ed è proprio come una moderna For the Love of You rivista da John Holt che suona quest’ultima, imprevista canzone che ci lascia con un ghigno soddisfatto stampato in faccia.
La copertina è una Wasser desnuda e aurea, forse per usare un paragone calzante, una versione in gonnella di Re Mida. E anche questo The Classic pare essere stato toccato dalle mani magiche, dall’intuito e dall’anima di Joan Wasser: il risultato è una prova matura, forse la più intensa della sua discografia e che non teme di osare su terreni tanto conosciuti all’artista quanto impervi da percorrere nella pratica. Suonala ancora, Sam.

Tracce consigliate: Shame, Holy City.