Il magnifico mondo della musica può, a volte, fornire delle lezioni importanti in quanto a umiltà e buon uso dei mezzi a disposizione.
Prendete Jillian Banks, per il pubblico Banks e basta: una carriera iniziata in sordina su Soundcloud e un po’ per caso un po’ per fortuna il suo nome arriva prima sul tavolo di una label londinese e ben presto approda alla major Harvest Records. L’accoglienza riservata al primo EP è entusiasta e da lì al cd il passo è breve: vengono messi al lavoro nomi di primo piano dell’elettronica mondiale, produzioni stellari, le aspettative sono altissime. E poi? E poi, secondo noi, l’album s’è rivelato un bel flop. Molto rumore per nulla o quasi.
Prendete adesso Jessie Ware: un background diverso ma una lenta scalata al successo in qualche modo simile. Partita come vocalist di supporto per lo sconosciuto (qui da noi) Jack Penate, raggiunge la notorietà grazie a SBTRKT e Florence Welch. Non proprio bruscolini. Nel 2012 il suo album di debutto, Devotion, accolto con gaudio dalla stampa, fuochi d’artificio, mortaretti, bombe a mano, tric e trac e a due anni di distanza arriva il secondo, Tough Love.
Attenzione perché la storia inizia a seguire un corso già visto: dietro le quinte si accalcano producer (Scott Benzel e Emile Haynie) e co-autori (Dev Hynes, Ed Sheeran, James Ford dei Simian Mobile Disco) celebri, come in Devotion non se ne vedevano; lì il posto era occupato da nomi molto meno altisonanti. Quasi non serve aggiungere che il genere esplorato, l’R&B al femminile con tocchi di elettronica e pop, ormai alla fine del 2014, non è più una novità. La paura di un lavoro iperprodotto e iperblasonato ma non all’altezza delle aspettative serpeggia nella testa del recensore mentre preme play.

Denominatore comune è, lo indovinate? L’amore. Tough quindi è naturalmente un amore sofferto, soffertissimo, che spezza il cuore, stringe lo stomaco e avvelena il fegato (Do I get lonely at all? No, cause Jamie and Johnny and Jack keep me warm). Le basi fanno il loro compito nel complesso bene, non ci sono eccessi nè storture, viene rispettata e anzi messa su un piedistallo una certa eleganza formale, attenta già all’involucro. Sul comune versante votato ad un’elettronica minimale, sempre di una raffinatezza rara, troviamo la titletrack, Desire, Sweetest Song, Kind of… Sometimes… Maybe. Jessie Ware accarezza i beat con padronanza, la freddezza del suono non riesce a gelare l’atmosfera che viene sì contratta dal battere asciutto e lineare ma riscaldata da una voce forse non d’eccezione ma comunque forte, calda, espressiva.
Un buon episodio a tutto tondo, dalle sorprendenti venature disco anni 70 già nel titolo, è Want Your Feeling; lascio all’ascoltatore il compito non arduo di scoprire chi ne è l’autore tra quelli menzionati sopra.
La successiva Pieces è marchiata con il segno indelebile del decennio seguente: fra l’arrangiamento orchestrale e le scelte vocali, l’amalgama funziona quasi molto bene. Ecco, quasi: Pieces è un amore finito male, è furibonda e disperata e distrutta ma non lo trasmette fino in fondo. Una versione live potrebbe smentirmi, ma la resa in studio tiene alla catena la sentimentalità ed è un grosso rammarico visto che il brano rappresenta un momento davvero pregiato.
Ancora anni 80 per Keep On Lying, grande lavoro di sovrapposizione di voci, cori paradisiaci, sempre un filo sopra le righe. L’assoluta bravura e la classe di Jessie Ware fiorisce sia su tracce più spumeggianti (non stiamo comunque parlando di musica sulla quale ballare ma al massimo battere il piede, eppure basta quel poco di brio in più per animare il bianco e nero malinconico) sia sul pavimento di vetro opaco di una canzone buia come Desire.
Pregherei altresì di fare attenzione a Cruel, peraltro una delle composizioni migliori: il ritornello non vi riporta alla mente nulla? Neanche, per esempio, l’inizio di Pyramids di Frank Ocean? Io la butto lì, magari mi sbaglio.

Miss Ware mette in mostra una mercanzia (vocale) più che dignitosa capace di emozionare anche quando le produzioni non le rendono giustizia al cento per cento. Tough Love conferma la sua autrice come una delle migliori figure dell’inflazionato panorama blue eyed R&B al femminile dando la conferma di quanto presentato in prima istanza con Devotion: le risorse impiegate sono più dispendiose ma rimane un disco concretamente con i piedi per terra, serio e compiuto. Forse la signorina potrebbe dare prova di cosa è veramente capace e scalare un ulteriore gradino di qualità con un po’ di coraggio in più, perché il vedo/non vedo musicale di Tough Love lascia in penombra gemme semi nascoste che vorremmo vedere portate alla luce.