Versione breve della recensione: questo album è una merda infinita. Andate in pace.

Versione lunga della recensione: Lily Allen, scansate. La sottocultura chav, le fidanzate zarre dell’ambiente hip hop e in generale i tamarri senza speranza di tutto il mondo hanno una nuova regina e come sempre accade il confine dell’estremo viene portato più in là di prima, verso limiti inesplorati o che perlomeno speravamo restassero ignoti.
Resa celebre dalla hit Price Tag, torna sulle scene la superlativa Jessie J. Nemo propheta in patria, il tragico detto latino ha colpito anche la novella principessa d’Albione che, ritenendo di non essere correttamente apprezzata in UK, è in procinto di espatriare verso la terra del buon gusto, Los Angeles. Ancora sul vecchio continente non ha però perso tempo nell’imparare a memoria tutta la peggio merda disponibile.
Il primo singolo estratto da Sweet Talker è un bel biglietto di presentazione: cosa ci si può aspettare dalla nostra eroina in combo con Ariana Grande e sua maestà Nicki Minaj? Bang Bang = 4 minuti di smignottamenti portentosi. Scusate tanto se non trovo un termine politicamente corretto e rispettoso per definire altrimenti la situazione. Stessi sottilissimi sottotesti sessuali in Burnin’ Up featuring 2 Chainz che sfoggia la stessa faccia e attitudine di uno spacciatore di crack ed ecco servito il pezzo in collaborazione col rappista famoso. Identica a prima la dose di inutilità e fastidio.
La tracklist scorre fra uno sbadiglio, una smorfia di disgusto e il tasto forward premuto molto spesso prima del tempo. Momento di tributo alla musa ispiratrice Nicki Minaj con Ain’t Been Done, Personal ossia l’immancabile ballata da tre soldi. Perché non schiacciare l’occhiolino alla Katy Perry dei primi due album in Strip e l’occhiolino a Katy Perry in generale però più elettronica quindi innovazione e originalità in Masterpiece? Per non farsi mancare nulla anche una collaborazione con De La Soul, probabilmente bisognosi di soldi per il mutuo. In mezzo un sacco di brani dall’altissimo valore artistico (no).
Sento già qualche cretinetti urlare “Rosicone ma te li sentiti i beat quanto spaccano?”. Come se fosse difficile avere dei beat da banger, con un budget sostanzioso alle spalle. Sono la solita mistura trita e ritrita di hip hop, synth dance, trap (ma quando muore questa moda?) eccetera eccetera. Ai controlli, giusto per citare qualcuno, abbiamo Diplo, Tricky Stewart (produttore di un’enormità di dive, divette e non solo) e pare ci sia anche lo zampino dell’uomo attualmente più irritante e onnipresente della musica, Pharrell.

Sweet Talker è la peggiore rappresentazione del pop contemporaneo, quello dance-oriented tutto uguale almeno almeno dal primo album di Lady Gaga, forse vera responsabile dell’ondata che ci affligge da qualche anno. Il genere a sua volta trova in questo album una pietra miliare di pateticità patinata.
Un’ultima osservazione in chiusura: Jessie J non sarà mai la Judy Garland del nuovo millennio e non si può certo dire che abbia una voce unica e introvabile ma senza autotune e in un contesto musicale diverso può fare anche questo. Peccato preferisca twerkare.

Traccia consigliata: nessuna.