Cosa può portare un giovane ragazzo che apparentemente ha solo una gran voglia di fare baldoria e bere birra, di suonare la chitarra e di cantare, ad allontanarsi dalle scene per 5 lunghi anni senza mai battere un colpo, senza mai dare una spiegazione?
Dopo un Kings & Queens davvero ottimo (e troppo poco citato quando si parlava di King Krule), tra hiphop e indierock inglese, punk e folk, Stratocaster e drum machine: il nulla.
Probabilmente però Jamie T è più assennato di quanto sembri. Proprio questo distacco repentino è stato, forse, la sua salvezza e il suo scampo. Scampo da quell’atroce macchina che si chiama hype e che, soprattutto in Inghilterra, ha la capacità di trasformare artisti promettenti in mere macchine da soldi valide al massimo per 24 mesi.

Dopo 5 anni, dunque, Jamie decide di ritornare regalando ai fan un nuovo pezzo: Don’t You Find. Il singolo lasciava già presagire una maturazione di quel pischello tanto fuori controllo quanto talentuoso. In tutto, o quasi, Carry On The Grudge le atmosfere si fanno infatti, se non proprio pesanti, di sicuro meno strafottenti e spensierate rispetto al passato, la vivacità viene spesso accantonata in favore della riflessione.
Il trittico iniziale è perfettamente confezionato: Limits Lie è fantastica, ricalca la ricerca melodica di Don’t You Find e come quest’ultima si pianta nella testa, la coda poi è un qualcosa di sorprendente con quella chitarra straziante e riverberata come mai l’avevamo sentita prima. Turn On The Light tende di più verso il passato dal piglio hiphop ma si apre nel ritornello arricchita da un glockenspiel al posto giusto nel momento giusto.
Altra tripletta degna di nota è quella che apre la seconda parte dell’album e che strizza un po’ di più l’occhio ai vecchi lavori, sebbene le tematiche dei testi siano più mature: Trouble, riff scarni e coretti soul su strofe in rincorsa, Rabbit Hole, un chitarrone da spavento, Peter, un ritornello micidiale rafforzato da un’attitudine punk e un riffone rubato agli Arctic Monkey di Humbug. In Zombie risorge al 100% il Jamie di 5 anni fa e, per assurdo, risulta fuori luogo, assolutamente non a suo agio all’interno del disco, forzato, anacronistico.
Mary Lee è una bella ballata con tripudio di ottoni, Love Is Only A Heartbeat Away è un pezzo acustico che pare uscito da Bryter Layter di Nick Drake, con tanto di archi in sottofondo. Murder Of Crows e They Told Me It Rained chiudono in bellezza, in punta di piedi, ma facendo breccia, proprio come è stato il ritorno di Jamie. Tra drum machine, chitarra e pianoforte, ritornelli che non lasciano scampo Jamie ci saluta, e chissà che non scompaia ancora.

Se in passato la strafottenza di Jamie T era per il “mondo dei grandi”, ora pare diretta verso tutti quelli che criticheranno il suo nuovo stile (basta fare un giro tra i commenti di Youtube per capire che la giovane fanbase d’oltremanica non l’ha presa tanto bene). Qui però non si tratta di mero “stile”, ma di un essere, e di trasmettere questo essere attraverso la propria arte che, in quanto tale e quando vera e sentita, deve essere sincera. Carry On The Grudge è il disco che anni fa ci saremmo aspettati da gente come Kele Okereke o Pete Doherty, ma queste sono altre tristi storie.
Gioiamo perché il ragazzino è cresciuto e con lui la sua musica; il figliol prodigo è tornato.
Speriamo non se ne vada ancora.

Tracce consigliate: Turn On The Light, Peter