Non vorrei sembrare prevenuto o inutilmente cattivo ma per l’ascolto di questo album ho iniziato aprendo il video di Hold Back the River: dopo le prime note è arrivata la voce e ho sentito l’impulso fortissimo di chiudere la finestra, forse perché avevo già capito in cosa mi stavo gettando. Invece ho solamente messo in pausa, fatto un profondo respiro e continuato.
James Bay ancora prima dell’uscita del suo primo album è stato investito da un’ondata di consensi: tour sold out, incensato ai Brit Awards, suona di supporto ai Rolling Stones, Stevie Wonder, Hozier eccetera eccetera eccetera. E per gli occhi femminili avrà anche il pregio di essere belloccio; sembra un Johnny Depp smagrito e sbarbato, stesso fascino da giostraio. E quindi con che cuore si può pensare di parlarne male? Si può, si può.

Hold Back the River, dicevo, è il primo singolo tratto da Chaos and the Calm: si tratta nella pratica di un singolo commercialmente portentoso, semplice nella sua costruzione a metà tra la furbizia indie pop e un qualche vago sentore di americanesimo; una spruzzata di blues nelle linee di chitarra rende, almeno in apparenza, più maturo il suono, meno pop, meno adolescenziale; un’altrettanto minima aggiunta di soul sui cori contribuisce al medesimo scopo e in generale il giochino di addolcire tutto usando gli intervalli di decima riesce alla perfezione. La canzone dà il meglio di sé sul finale, quando James Bay si sveglia dal torpore e canta con più energia, senza sussurrare: e questo è interessante perché al di là di tutto il nostro ha una discretissima voce,cosa non da poco, e lo dimostra nelle numerose sessioni live sostenute.
Esaurito l’impatto con singolone trascinatore si scorre la tracklist: c’è un’alternanza fra brani nuovi di zecca e cose già sentite nei vari EP usciti a raffica l’anno scorso, ripresi e registrati con varie piccole modifiche che comunque non stravolgono mai l’assetto originale. Tra queste spiccano Let It Go e If You Ever Want to Be in Love: è dura da mandare giù ma Let It Go non è una cover del brano di Frozen (peccato, perché quello sì che è grandioso e non sto scherzando) bensì un malinconico pop soul il cui tappeto musicale particolarmente ripetitivo e monotono lo fa quasi assomigliare a… un pezzo R&B? If You… si riapre la strada verso un soul-country romantico, dalla costruzione musicale banale e dal testo piuttosto mediocre che però dal vivo non dovrebbe essere niente male. Altra coppia di brani vecchi è quella composta da Move Together e When We Were On Fire: trattasi di due blues, di nuovo, il primo stavolta particolarmente azzeccato, melenso sì (l’intera, per ora limitata, discografia del signorino Bay gronda melassa, se ancora non ve ne siete accorti) ma non brutto e la seconda già meno sul punto, meno sentita e più derivativa, un po’ più “pestata” in questa nuova versione rispetto a quella già uscita un anno fa. Tra i pezzi veramente nuovi, che per inciso non sono poi tanti, Scars, discreto brano semi-anthemico con crescendo da concerto allo stadio e Clocks Go Forward. Rimane da segnalare che l’atroce Best Fake Smile va dimenticata e mai più nominata per l’eternità.

L’idea che mi sono fatto di James Bay non è esattamente positiva: ogni tanto, troppo poco spesso purtroppo, tira fuori cose buone quasi a tutto tondo, altre volte corre felice (ma anche un po’ malinconico) nei campi della paraculaggine zuccherosa, di quel genere che piglia magari bene per mezz’ora ma poi, svegliatici dall’incantesimo, diventa repellente, qualche altra volta semplicemente annoia e infine ogni tanto riesce perfino a risultare fastidioso fin da subito (bel risultato, bra-vo!). Il risultato finale è un album dalle potenzialità superlative come implacabile scalatore di classifiche e che farà la gioia dei fan di Ed Sheeran, non a caso tra i similar là sopra, e di chi in generale apprezza il folk pop più versato al secondo dei due generi. Per tutti gli altri, detto fra amici, è un ascolto che potete evitare senza ripensamenti.

Traccia cosnigliata: Move Together.