Per parlare del nuovo album di Iosonouncane possiamo partire da un dato oggettivo: dura quasi due ore. In pratica, per ascoltarlo devi prendere mezza giornata di ferie. Per ascoltarlo bene, invece, potrebbe non bastare un giorno, perché IRA non è un album che dura tanto e basta. L’elevato minutaggio è, infatti, effetto e non causa della sua straordinaria complessità. Siamo di fronte ad un un’opera artistica che richiede del tempo per essere assimilata e che non puoi skippare. Quindi devi mettere via l’orologio, che tanto una volta dentro non ti servirà.

Si capisce già dall’introduttiva hiver che qui c’è qualcosa di inafferrabile, perché passano pochi istanti ed entrano il piano e poi, da metà, il groove sul piatto ride e senza preavviso ti ritrovi dentro Pyramid Song immerso in un mare di slow jazz e di elementi strumentali in continuo crescendo, contaminati da una lingua nuova, a tratti incomprensibile, che prosegue per tutto l’album. Eri pronto a cantare Stormi alle serate indie e invece sei caduto in pozzo senza fondo in cui le lancette dell’orologio vanno per i cazzi loro e dentro il quale risuona un miscuglio linguistico primordiale. Chi parla? Cosa sono? Riti sacrificali? Il vento dentro le conchiglie?

Le similitudini con i Radiohead e con Thom Yorke solista non finiscono mica qui, perché tanto i toni, quanto le sonorità, sia elettroniche, sia quelle acustiche, portano un po’ a Kid A, un po’ ad Amnesiac o a The Eraser. Per pescarne un paio dal mazzo diciamo horizon fleuve, ma che sia un brano o un semplice frammento (come nell’ipotetico incontro tra ashes e Harrodown HillPulk/Pull Revolving Doors) il senso di affinità è costante. E poi c’è piel, che inizia da vero classico indie-alternative per poi aprirsi verso spazi indefiniti, facendoti sentire sempre più piccolino, letteralmente sovrastato da una melodia che va ben oltre la linea dell’orizzonte.

Rispetto al passato poi c’è un’ostinata tendenza all’orchestralità, che prosegue in altri momenti dell’album come pétrole o nuit, quest’ultima con un francese da monologo teatrale, che disvelano piano piano le progressioni di Anima Latina, (già feticcio ai tempi di DIE) qui citata per la sua capacità di divincolarsi dai confini e per aver avviato quel processo di frantumazione della canzone popolare italiana, continuato poi da Franco Battiato nelle sue molteplici sperimentazioni (un paio a caso: ClicL’Era Del Cinghiale Bianco) e che oggi, proprio con IRA, entra in una nuova fase, come se il progresso fosse sepolto nel passato.

Ed è in questa fase che irrompe Iosonouncane con droni e mostri marini, arricchendola con la sua personale evoluzione elettronica dalla forte componente sci-fi post-apocalittica. Con il passare dei minuti l’oscurità inizia a riempire tutti gli spazi luminosi disponibili allargandosi come fanno le ombre sul cemento in estate, rendendo ogni tentativo di contenerle inutile, come il buio della copertina che avvolge la figura di uomo nudo sfocato, che sembra scomparire. In brani come jabal, ma anche prière con il suo horror a là Carpenter ci si ritrova in pratica come un lillipuziano che si affanna ad inchiodare a terra Gulliver, ma mentre si concentra su una mano, l’altra strappa le corde dal terreno tirando giù alberi e case di paglia.

Eppure in mezzo a questo Tutto, c’è tanta umanità. Ci sono le tribù, le mani nude e la terra: che si tratti dei paesi lontani di sangre, niran o jabal, o del Sorvegliare e Punire di foucaultiana memoria in prison, o ancora dei suoni tribali del likembe di ojos, le voci e le sezioni ritmiche dei brani più sperimentali portano agli uomini di un’era indefinita, uomini di territori prima ancora che di nazioni, rappresentando il fattore umano dell’esperienza diretta sulle cose e nel tempo. L’unico elemento finito di un album che tende all’eterno.

IRA è un album che puoi toccare e percepire con ognuno dei tuoi sensi, nonostante la sua persistente dilatazione verso l’ultraterreno. Esageratamente lungo ed esageratamente complesso proietta Jacopo Incani in una dimensione internazionale, cancellando quella del cantautorato tradizionale. Ma IRA è anche esageratamente grande, talmente grande da oscurare tutto ciò che lo circonda, come un gigante in cima ad una montagna. Per lui il tempo è un’istante, per noi infinito.

Tracce consigliate: hiver, piel, nuit