Gli ultimi segni di vita della band di New York nell’ambito del mercato musicale li avevamo avuto grazie alla ristampa di Turn On The Bright Lights in occasione del suo decennale. Un album enorme nel revival post-punk di inizio Duemila, un album a cui imprescindibilmente ti riferisci parlando degli Interpol.

Un album che per molti non ha dato seguito ad altri lavori dello stesso livello, andando quindi a scremare i fan della band. I motivi? Principalmente perché tutti i lavori successivi non davano mai l’impressione di avere una visione d’insieme, di un album appunto. Antics aveva i pezzi, Our Love To Admire diventava – nonostante la quasi identica durata di TOTBL – pesante nella seconda parte e il s/t, beh quello è il disco che meno di tutti abbiamo ascoltato. Una riduzione progressiva di brani incisivi e mancanza di un mood omogeneo, riconoscendo comunque l’affermazione di un suono che si può unicamente collegare al trio (prima quartetto) guidato da Paul Banks.

I ragazzi decidono di rimettersi al lavoro e il ritorno su disco è un ritorno muscoloso e d’impatto. All The Rage Back Home sì è rivelato un diversivo, poiché pur essendo un ottimo brano ricordava parecchio Rest My Chemistry e rischiava quindi di essere bollato come “l’ennesimo brano degli Interpol alla Interpol”, e invece con gli ascolti si è fatta spazio nel cuori di molti. C’è da ammettere che la colpa è anche dei testi. Un brano che sembra raccontare il dialogo d’addio di due amanti in cui lui non riesce a spegnere i sentimenti, si sforza di capire, chiede spiegazioni ma non ottiene molto e ammette di continuare a ricaderci, forse non più come prima, ma il passo falso resta sempre dietro l’angolo.

My Desire si apre con uno dei riff killer di Daniel Kessler che poi più avanti si aprirà negli arpeggi che tanto ci mancavano. Anche qua Paul Banks si apre mostrando tutte le sue debolezze, cosa che si ripete in Anywhere, pezzo che promette di ottenere un veloce feedback positivo nei live. You know all about me / That’s what’s so frightening , la paura e la sensazione di ritrovarsi nudo e indifeso di fronte alla persona a cui hai svelato tutto te stesso e che quindi ora sa benissimo come farti male. I could go anywhere sperando che il fatto di esser rimasto nello stesso ambiente non ti impedisca di iniziare qualcosa di nuovo che cancelli il passato (Same Town, New Story) nonostante si andrà a sbattere sullo stesso palo fino a quando non cadrà a terra e anche allora saremo lì a raccoglierlo. Questo non è un modo affatto sano di vivere un’emozione, e ci porterà solo a sentirci tutto il mondo addosso (Feels like the whole world is up on my shoulders /Feels like the whole world’s coming down on me).

My Blue Supreme emotivamente non è inferiore alle precedenti, una richiesta d’aiuto per il bisogno disperato di amare pur sapendo che dopo aver consegnato il proprio amore “Only one in a hundred make it/And they can tell there’s nothing to fake”. Everything Is Wrong ripiega l’oggetto della propria analisi su se stessi, riempiendosi di domande e Breaker 1 dipinge le malinconiche immagini del tempo trascorso insieme “You’ve seen the way when I hold you tight, you sleep beside me”- i pomeriggi d’estate in cui aiutati dal caldo su quel letto si diventava una cosa sola e i pomeriggi freddi di ora, troppo lunghi e che raddoppiano la grandezza del letto, ora vuoto. Twice As Hard promette una rivalsa, una sorta di pena di contrappasso per le sofferenze provate, ma non sapremo mai quando realmente si sarà capaci di metterle in atto.

Tutto questo densissimo concentrato d’emozioni ha alle sue spalle, come avevamo detto, una architettura sonora muscolosa indirizzata da linee di basso molto più dritte rispetto al passato, per la prima volta Paul Banks si è spostato dalle sei alle quattro corde, ammettendo di non poter mai costruire qualcosa di stilisticamente vicino a Carlos Dengler. Il risultato è in ogni caso invidiabile. Per quanto riguarda le chitarre, Daniel Kessler ha dosato con giudizio vecchio e nuovo, se i riff di brani come All The Rage Back Home, Anywhere e Tidal Wave (che rievoca emozioni che si chiamano Not Even Jail) sanno di Interpol al primo play, a brani come Breaker 1 si dovrà dare (non molti a dire il vero) ascolti in più.

Le uniche critiche possibili a El Pintor come dinamismo dei pezzi che sembrano non portare a nulla e un’eccessiva ridondanza di alcuni accordi sono facilmente smontabili. La prima critica cade sotto i colpi degli ascolti, l’unico pezzo che nonostante tutto continua a dare quell’impressione è Ancient Ways. Riguardo la seconda critica invece, beh ragazzi, quello è il sound della band, è la base che vi porta a piacerli o odiarli. El Pintor è il disco che molti aspettavano da anni, che altri aspettavano solo per aver altri pezzi da cantare e che altri ancora, con colpevolissimo ritardo, potranno usare per conoscere un nome importantissimo dell’ultimo decennio. Insomma un graditissimo ritorno.

Tracce Consigliate: All The Rage Back HomeBreaker 1