Nel 2009 navigando per il web mi sono imbattuto in questo scioglilingua misterioso che pubblicava nel suo canale personale di Youtube video autoprodotti a raffica. Questo fenomeno ha un po’ scosso tutte le testate giornalistiche (virali o non), che si sono divertiti a dare un’identità a questo personaggio (e da qui sono usciti nomi tipo Lady Gaga, Bjork, Goldfrapp). Dopo 2 settimane capisco chi sei, Jonna Lee, e penetro completamente nel tuo mondo pieno di hype, fatto di pubblicazioni di videoclip a distanza di mesi, 9 relativi a kin, fino a giungere alla pubblicazione del disco da parte di V2 Records a metà 2012. Della serie: “finalmente te ne sei accorto!”.

Jonna, a tutto il lavoro che hai speso in compagnia del tuo socio Clases Bjorklund, che va molto al di là della musica (kin è un audiovisual) , tanto di cappello. Conoscendoti, ho intuito che ogni video rappresenta un diverso aspetto del tuo essere, veramente molto complesso. Sei bionda, svedese e giochi a Into The Wild; la mia paura è che tu abbia un po’ la sindrome dell’io. La camera ti piace, forse anche un po’ troppo, e immagino tu non sia cresciuta in una gelida fattoria a gestione familiare. É un po’ come immaginare Fever Ray diventare la prossima modella per H&M. Musicalmente la Svezia riesco più a percepirla ed apprezzarla in video come What Else Is There, o nella discografia dei The Knife. In fondo a chi non piace viaggiare?
Ma ti credo. Forse non verrai da quel background, forse veramente sei così fragile, insicura, con il bisogno di esprimerti e di (ri)conoscerti in quello che fai. Peccato non sei una figa. Però belli i video.

(non ho mai visto un suo video)

Realizziamo. Ho appena comprato un disco dove iamamiwhoami non capisco se sia il titolo o l’artista, ma va bene lo stesso. Poi per avere una cover così d’impatto, e scoprendo che la formazione è svedese, non vedo l’ora di premere play. Dopo Sever, la prima traccia, mi sto accorgendo di non essere più seduto ma di fluttuare nell’aria, come se Fever Ray mi stesse salutando dal basso. La tua voce, così curata in ogni singola sfaccettatura digitale, potrebbe gelare ogni cosa. Traccia dopo traccia, perdo completamente la cognizione del tempo, inciampando nei beat ovattati un po’ eighties di Good Worker, sprofondando nelle atmosfere chill-downtempo di Kill e Play, finendo per arrivare nelle ambientazioni space/disco di In Due Of Order. Se Drops potrebbe essere una b-side di Junior dei Royksopp, Goods invece è una reinterpretazione glitch di Feist. Ok, da dove è uscita questa?
Non sembra per nulla un disco d’esordio. E’ talmente lavorato e pulito, che manca quel filo conduttore che lega un brano all’altro. Prese singolarmente, tutte le parti di kin hanno una grande forza, e risulta complicato riuscire a considerarli un unicuum. Forse c’è qualcosa che non so..