Il rapporto de I Cani coi propri ascoltatori è stato sempre complesso. Non si è capito mai se li volessero prendere in giro all’infinito, cullarli, dare loro pacche sulle spalle, abbracciarli, farli innervosire, schifarli. Sono riusciti spesso in tutte queste cose in momenti diversi, e forse per questo si attendeva questo 29 gennaio curiosi e pronti al commento.
Aurora, anticipato da tre singoli che già lo suggerivano, ci dice che può esistere un pop alternativo che non sia neocantautorato sterile e già sentito, che riesca a non dire la parola “amore” banalmente. Inizia con Questo nostro grande amore, con un titolo classico, quasi da Sanremo, che non lascia colpiti per la riuscita bensì per un amore cinico cantato con allegria. In tutto il disco ci sono le #tastierine FM o i suoni pop, ma i testi sono spesso staffilate che con la faciloneria apparente delle musiche non hanno niente a che fare, citofonate a Il posto più freddo. Questo è il disco dello scoprirsi, del mostrarsi. Si mostra Contessa per la prima volta in un video nel singolo Non finirà, pezzo che ricorda insieme gli Chic (se non avete pensato di cantarci sopra Le Freak non so se voglio parlarvi ancora) e in qualche modo Neffa, che fa storcere il naso all’inizio ma che si fa apprezzare poi per l’atmosfera funky e il testo che ci si sbatte, parlando in realtà del senso della storia – l’idea che l’epoca, e con lei la musica, che stiamo vivendo sia un’epoca di decadenza e di fine – che non finirà. La stessa, seconda traccia, fa da specchio alla penultima Finirà, contraria in attitudine e atmosfere, con la cassa dritta e profonda, ma conseguenza logica al senso di decadenza della sua traccia sorella.
Il brano Aurora è la bella versione contemporanea della vecchia storia del passero che deve portare il proprio amore all’amata (“vola via pacchetto digitale”) mentre il tono e la risoluzione degli accordi si fa agrodolce (“i momenti vuoti/i momenti vuoti”) fino all’apparizione di un campionamento di una connessione ad internet a 56 kbps (fitta al cuore) per coronare tutto quest’amore posticcio, distante, digitale. Segue Una cosa stupida, che è di una stucchevolezza tremenda, e invece anche qui si fa tutto il giro: è dolce, triste, così estendibile nel suo essere semplice. Tutto si chiude con la doppia chiusa di Finirà che diventa Sparire, suonata solo col piano elettrico, lo stesso che si sente in tutto Aurora: riprende i temi universalistici trattati ma riporta tutto all’intimo, al personale.
Contessa in Aurora suona, canta, e non se ne vergogna, niente sacchetti in testa; è come quei grandi maestri zen (scuserete il parallelismo, ma di buddismo parla Protobodhisattva, prima di sfaldarsi citando Alan Sorrenti in musica e parole e dicendo nel ritornello «vuoi il culo o la fica») che imparano i segreti oscuri del mondo, il senso della vita, e poi scoprono che è nelle cose semplici. Un giro armonico, un basso caldo, le tastierine.
Se non riuscite a pensare un nuovo pop nostrano forse è un altro problema; qui non si tratta di copiare l’estero o di copiare il passato: al contrario, ne si prendono le basi teoriche e si applicano a qualcosa che è nostro e attuale, senza sfociare nei post-cantautorati di ‘stocazzo o in quel comodo contenitore che è l’indiesfiga. L’evoluzione musicale e testuale de I Cani è stata graduale e sensata; Aurora non è il disco dell’anno, scivola ogni tanto, si perde nei battiatismi da profanare, ma non dice neanche una volta “pigneto” ed è un bel messaggio: ci sono altre vie al pop alternativo, e qualcuno le sta seguendo.
Tracce consigliate: Il posto più freddo, Aurora