Problemone: riascoltando Winter Beats (pezzo intramontabile e singolone che praticamente reggeva da solo tutto l’album d’esordio Hearts) si viene assaliti da una certa nostalgia per quei bei vecchi dream-tempi datati 2011 ed è giustissimo perché Hearts è uscito nel 2011; ascoltando Chiaroscuro però si viene assaliti da una certa nostalgia per quei bei vecchi dream-tempi datati 2012, ma toh guarda un po’ Chiaroscuro è uscito oggi e oggi siamo nel 2014.

È sostanzialmente l’unico vero problema di un disco che in altri tempi avrebbe goduto di maggior considerazione: l’essere arrivato in estremo ritardo, non tanto rispetto agli anni ’80 (vogliamo davvero andare a parare – di nuovo – là?) ma quanto piuttosto rispetto a quella serie di uscite che hanno reso il 2012 un anno topico per il (dream)pop con i synth. Si parla del trittico Grimes (la cui influenza è ben tangibile in Medicine Brush), Chromatics (dalle parti di Denial) e Purity Ring (il cui spettro è presente un po’ ovunque, in particolare su Ascension), ma anche di formazioni finite ingiustamente nel dimenticatoio tipo i Niki & The Dove (Weight True Words è praticamente un pezzo loro – e quindi bello!).

Anno di release a parte, il risultato finale è un prodotto di pregevolissima fattura: messe da parte le derive shoegazey di scuola M83 dell’esordio, ciò che rimane degli I Break Horses è un synth pop di cui i synth sono quasi sempre fighissimi e le melodie pop pure. A livello compositivo supera senza troppi problemi il debut (anche se pezzi del livello di Winter Beats sono una cosa che una band del gregge dream pop sforna una volta sola nella vita), grazie anche alla rimozione di quella luminosità gioiosa tutta scandinava che francamente era di troppo, facendo di Chiaroscuro un album poco chiaro e tanto scuro: anche se le rive della darkwave, di fatto, vengono solo sfiorate (Medicine Brush, Disclosure), il mood è bello tetro sin dalla opening track You Burn, e si apre pure a derive dancefloor già alla seconda traccia, l’intrigante Faith, che, assieme all’altro singolo Denial, è una delle due colonne portanti del disco (degli I Break Horses si dica tutto ma non che non riescano a buttar fuori sempre singoloni della madonna).

Quindi è andata così: gran bel disco, peccato per il ritardo e peccato per le drum machines che sembrano rifuggire a tutti i costi la cassa dritta manco fosse Satana (tranne in Faith, guarda un po’), andando a impelagarsi su pattern ritmici un po’ a caso (robe come Berceuse con i cari vecchi 4/4 potevano diventare stracciamutande all’inverosimile), ma chi siamo noi per lamentarci, forse dei critici musicali? Eheheh.

Recommended tracks: Faith, Denial.