Il volto contorto in un’espressione a metà tra il dolore e l’autocommiserazione, quel color chewing-gum sbiadito tutt’intorno, un ricordo di ciò che si era presentito con lo scorso What Is This Heart?: ci siamo, Care è il disco pop di How To Dress Well.

Sono pop le intenzioni e, soprattutto, le soluzioni: i suoni, le produzioni e i ritornelli fanno subito breccia al primo ascolto, si incollano in testa e non accennano ad andarsene.
Si prenda Can’t You Tell, opener del disco. Quel piano che scandisce i quarti, il ritornello lungo il triplo delle strofe, i gorgheggi che riempiono i vuoti; gli schiocchi di dita ormai non sono più persi nel riverbero (ricordate Total Loss?), bensì in primo piano, lì a ribadire che quello è il tempo su cui bisogna muovere la testa mentre il singolo passa in radio. E fino a qui ci sta, funziona.
Ci sono però episodi aberranti, proprio dei pezzi che non entrerebbero neanche nelle soundtrack delle peggiori commediole americane: What’s Up e Anxious e quei ritmi baldanzosi che manco una conga al villaggio vacanze in Costa Rica, o I Was Terrible che vorrebbe essere una canzone di scuse ma diventa più una scusa per un trenino a un matrimonio.
Ci sono anche tracce che, per fortuna, si distaccano dall’ottica pop e ritornano un po’ verso i canoni del Tom Krell che conosciamo, come la pacata Ruins o le incursioni di basse frequenze che spezzano il ritmo di una altrimenti troppo gioiosa Time Was Meant To Stay, o ancora la classica ballata al piano Untitled e l’assolo sporco di tastiere di Lost Youth /  Lost You (ottimo singolo).
Salt Song, il pezzo migliore del lavoro, si sostiene egregiamente su impalcature appiccicose ma mai banali mentre incursioni di chitarra fendono l’aria e stop-and-go donano dinamica, per convolare insieme nel climax finale: è la summa di quello che sarebbe potuto essere, ma che talvolta non è stato.

Verrebbe da dire nient’altro se non “è pop”, e sarebbe meno banale di quanto possa sembrare. È vero che talvolta i mugugni si fanno un po’ troppo insistenti da risultare persino finti, un po’ posati, ma è innegabile che alcune tracce colpiscano il target, e i ritornelli anche. In definitiva Krell ha fatto una scelta e ha intrapreso una strada consapevolmente (stessa cosa successa a The Weeknd, per altro) per uscire dallo spleen sia sonoro che testuale. Se il primo ascolto vi scandalizzerà, magari vi ritroverete a schioccare le dita senza accorgervene al secondo o al terzo, se verrete stregati al primo play è facile che vi ritroverete a fare considerazioni più approfondite col tempo.
Insomma: è pop.

Tracce consigliate: Salt Song