Dico Smog con un po’ di apprensione. Sono guardingo, tengo l’attenzione alta. Tutto sotto controllo. Via libera. Anzi no fermo no! Guarda nell’armadio!

Non c’è. Greta Thunberg non è comparsa.

Allora sì, allora finalmente possiamo recensire Smog di Giorgio Poi, che arriva un paio d’anni dopo Fa niente e diventa significativa la prima traccia, subito.

A Giorgio non piace più viaggiare: questa è la prima ventata d’aria nuova del cantautore, che invece è stato sempre cosmopolita. Invecchiarsi, per ora, in Italia; far stagionare il secondo album a Bologna, non troppo lontano da dove prendono forma parmiggiani e prosciutti, dopo che Fa niente nacque tutto nella culla berlinese.

Stare in Italia non è solo un cambio di domicilio; a mutare è tutta la trazione del lavoro. Smog, infatti, sancisce un confronto totale con la musica leggera del belpaese. Un faccia a faccia che non si consuma solo nel singolo con Calcutta, ma di più, va nel profondo: un viaggio. Ma come, avevi detto che a Giorgio Poi non piace più viaggiare? e mo?, giusto. Ma questo è un altro tipo di viaggio. Un bel viaggione artistico e mentale. Un trip in sella a una bicicletta? no. Sul pullman? Ma quando mai. In moto? Troppo rumore. Su un aereo? figuriamoci, Giorgio in questo disco è incazzato con gli aerei, vengono scambiati per stelle, una delusione. Allora con che fa questo viaggio tra la musica italiana, Giorgio Poi? Semplice, “sottomarini a forma di cazzo” [Non mi piace viaggiare].

Assolutamente sì.

Tra gli abissi della musica leggera italiana, il cantautore di Novara si fa largo con questo mezzo atipico, rubato sicuramente a qualche flotta militare, ma privato di ogni munizione. È infatti una navigazione innocua. Il cantautore a bordo si muove tra “Battisti e Lucio Dalla” ma non solo; nello stesso fondale serpeggia tra strani echi ridondanti, fatti di “sole, cuore, amore”, tra canzoni che oggi ci fanno accapponare la pelle, ma che oh, magari sono state la colonna sonora del nostro concepimento, quindi un po’ di rispetto, per cortesia.

Dagli abissi dell’immaginario classico della italica canzone emergono col sottomarino strane figure, poco nitide e ambigue. Flaconi di Vinavil e maionesi che impazziscono, rughe fantasmatiche; storie tempestate di strane comparse. Storie illusorie, innestate in uno sfondo sonoro che rispetto al passato, volutamente, si fa – appunto – più innocuo. Si sente meno l’invasione della (oddio no lo stiamo dicendo di nuovo!) della chitarra acida; si appianano suoni che prima, come in Fa niente, erano più distorti, stridenti.

Insomma, il suono di Smog, all’apparenza, si banalizza, ma è la chiave necessaria per aprire le porte dell’album. Le canzoni cambiano struttura, si concentrano sui ritornelli, si fissano nella mente; diventano sciocchezzuole, in confronto ai dischi dello “zio del Minnesota“. Piatti di trofie al pesto e nostalgia. Giorgio Poi ci dimostra che è in grado di fare anche questo: abbassare l’asticella se serve, per paradossalmente perseguire la realizzazione di un progetto nuovo – ironico e parodico.

Intanto massima vigilanza. Non spuntano trecce da nessun angolo. Greta non ci deve ammonire. La nuvola di Smog non è inquinante. E anzi si dissolve presto: “un respiro diverso / disperde la polvere“.

Le idee di Giorgio Poi non cedono mai un centimetro, nemmeno quella di attraversare la storia della musica italiana con un sottomarino fallico. Giorgio resta sempre molto in alto, per la capacità di costruire storie e immagini, mostriciattoli inquietanti ma innocui; canzoni tenerelle, all’apparenza, ma invece capaci di ammiccare a un segreto più profondo.

Dietro la foschia dello smog, c’è tanto altro.

Tracce consigliate: Maionese, Vinavil, Ruga fantasma