Nella camera da letto di quando abitavi dai tuoi c’è un cassetto nel comodino dove sono state messe alla rinfusa cose più o meno importanti. Un mix tra un cestino dell’immondizia ed il forziere del tesoro, che scandisce il tempo e fa riaffiorare i ricordi. Foto di te vestito da pirata al Carnevale del ’90; accendini smoking di una collezione mai finita e l’astuccio del liceo che puzza di tabacco e tempera. In fondo, un dente da latte chiuso nella confezione sterile. L’ultimo. Un talismano, una porta magica per fuggire verso un altro mondo, quello della vita di prima. Ma anche quando passi questo stargate un po’ sbiadito le ansie vengono con te. Le cose sono cambiate e guardare alla vita adulta fa paura quanto la malinconia per quella passata.

Presto, album n. 3 di Generic Animal, come quel dente da latte nella sua bustina sterile, ti ricorda quanto tempo è passato e ti mostra tutto ciò che è stato. Anche se non ci finisci dentro del tutto come Harry Potter nel Pensatoio di Silente, ma lo rivivi filtrato dall’esperienza che si è sedimentata nell’inconscio e dai sensi di colpa.

La gestazione è stata lunga. Alcuni brani sono state scritti mentre uscivano gli album Generic Animal ed Emorangermentre, insomma, si iniziava a fantasticare su questo unicum del panorama nazionale emergente che stava trasformando in oro i testi di Jacopo Lietti (dei FBYC). Alle vecchie parole, oggi, sono state date nuove vie di fuga che rappresentano l’ennesima novità di un artista che vive di cambiamenti. Dopo Adele e Juju di Any Other e Zollo questa volta alla produzione c’è Fight Pausa dei 72-HOUR POST FIGHT, amico di vecchia data di Luca Galizia già presente ai tempi dei Leute. Corsi e ricorsi storici perché l’amicizia è un tema di fondo e quando senti le canzoni di Generic Animal, che siano vecchie o che siano nuove, pensi che sarebbe un buon amico. 

Musicalmente l’album prende direzioni tra le più disparate. Sistemarlo in questa o quell’altra casella è compito veramente sporco e in parte anacronistico. Lo sostengono però un’anima emo e le ritmiche tendenzialmente Soundcloud-rap. Tuttavia le certezze svaniscono minuto dopo minuto, come a dire che stai guidando e istintivamente batti il tempo con le dita sul volante, ma è davvero un casino e te ne vai fuori tempo alla seconda curva. Scherzando in modo molto serio lo guardiamo spesso come all’Alex Giannascoli (Alex G) italiano. Come uno che stravolge i canoni per crearne di nuovi; uno che seduce senza essere sexy e che artisticamente parlando crea un gran sconquasso.

Luca è sempre stato un attento osservatore, specialmente della sua di vita. E continua ad essere anche un ottimo paroliere, specialmente della sua vita. Dentro l’album c’è una fortissima esigenza di raccontarsi attraverso momenti reali vissuti in prima persona per tirare le fila. Musica come terapia e non come cura. Una caratteristica, questa, che fin dall’esordio detta la sua cifra stilistica come autore.

Tutto viene trattato da linguaggio elementare nel senso del mondo dei grandi visto da un bambino. Ma sotto questo realismo di espressioni semplici e di facile immedesimazione, c’è la profondità dei concetti che vuole trasmettere: l’isolamento come paradigma del disagio di questa generazione (“Non avevo voglia di uscire sai/ho mangiato una pizza surgelata” in Nirvana; “No che non esco anche stasera/l’abbiam già fatto il mese scorso e a dirla tutta è stata un pacco” in Scarpe#2), l’angoscia e le incertezze (“E non è comè l’Università/ne sbaglio due cancello e si rifà” in 1400), l’indipendenza economica (“I soldi non fan la felicità” in Scarpe#2), e nuovamente Nirvana, brillante brano sulla malinconia di cose mai vissute e di quelle che non si vivranno (“Avrei voluto tanto esserci ma/ormai i ghiacciai non li vedrò mai”). E poi ancora, Volvo, nella quale Luca torna a parlare del rapporto col padre già affrontato in Tsunami tempo fa. Solo che questa volta, a differenza di quel “Dai dimmi non saremo così” si è reso conto di essere diventato come lui (“Avevi ancora i capelli/mentre ora sembrian gemelli”).

In alcuni casi mancano le parole e proprio come nei bambini, si ricorre all’assurdo (“Ho progettato delle scarpe con ventose/e non attaccano sui muri di cemento” in Scarpe #2) secondo nuove logiche e tecniche narrative di scrittura sperimentale. Abbandona la costruzione razionale e prende atto della difficoltà di ogni comunicazione. Tutto ciò crea figure surreali (“Spengo la luce/mi sveglio in una bara” in Presto) mentre la vita viene smembrata e scomposta fino a creare un effetto tragico ma anche comico.

Musica come terapia e non come cura. Per tirare le fila sulla propria esistenza. Presto è l’alienazione dell’uomo contemporaneo, è crisi, è fallimento della comunicazione, solitudine, ma anche crescita (umana e professionale). Tutti attori principali di una commedia del teatro dell’assurdo di cui Generic Animal oggi rappresenta il miglior regista. Punto di forza di un artista che non conosce regole se non le sue e che quando perde la strada infila la mano nel cassetto del comodino alla ricerca del suo stargate.

Tracce consigliate: Scarpe#2, Volvo, Nirvana