Comunque stai a divent’ ‘r poeta, sei un poeta ormai. Fai delle robe di una bellezza… quasi anni ’70

Menomale che Fa lo stesso si conclude con questo ironico outro. Perché l’opinione, che viene espressa da una voce terza, rappresenta uno dei tratti più interessanti del disco; ma è una prassi ormai talmente ostentata e sforzata, quella di dover affiancare al nuovo cantautorato italiano i modelli del passato, che potrebbe risultare stucchevole.

Però oh, con Franco 126 diventa una cosa bellissima parlarne, e quindi, approfittando della citazione, diciamo che sì, in Stanza singola le robe anni ’70 sono una realtà davvero piacevole.

Young Califano

In un universo parallelo, Franchino potrebbe chiamarsi, che so, Young Califano. Non tanto perché potrebbe tatuarsi “tutto il resto è noia” in faccia, ma perché, da quando è uscito il primo singolo del suo primo progetto solista, Frigobar, dalle nostre parti abbiamo piacevolmente captato quel nonsoché nella poetica, nel fraseggio, nell’immaginario di Franco 126 che poteva appartenere, appunto, a Franco Califano.

Quell’attitudine amara, leggermente svogliata, da flaneur di rione che pervade la musica di Franco 126 riecheggia infatti un po’ la geografia reale e sentimentale del Califfo. Cantare di amori ma non solo; spazio alle amicizie, alle malìe esistenziali, alle noie quotidiane. Spazi semantici immersi in una città enorme ma vissuta come paese. Una città che ovviamente è Roma, ma che qui, a differenza che in Polaroid, viene evocata non tanto per le menzioni dirette, quanto per l’atmosfera musicale: quasi a cadenzare il ritmo di uno stornello, Roma si trova tra arpeggi di chitarra, la voce a tratti sbiascicata di Franchino, percussioni “romanesche”, che ben si sposano con le luci familiari dei lampioni gialle, le strade sempre battute, le finestre note dei palazzi.

La lirica di strada

Un finestra, come quella di Ieri l’altro, “e se passo in quella via / sai, guardo ancora in su / e mi aspetto che ti affacci / un fischio e scendi giù”, versi che da soli, davvero possono valere un disco intero; perché il brano è dedicato a Gordo, un amico fraterno del collettivo CXXVI venuto a mancare troppo presto. Sono quei tratti di un cantautore che cambiano tutto, che costringono l’ascoltatore a fermarsi un attimo e fare un respiro profondo. Questioni che solo le parole di penne virtuose possono sollevare, soprattutto se messe in musica. Penna e parole che possono essere maneggiate solo da una sensibilità artistica non indifferente.

In Stanza singola c’è un ossimoro spiazzante, per la sua bellezza: rozzezza ed eleganza. Tratti opposti che possono trovare punti di incontro in poche figure: una di quelle è il poeta di strada. Franco 126 è un poeta di strada, che con il suo esordio solista ci dimostra, depurato da ogni altra (seppur felice) influenza che poteva essere ad esempio quella di Carl Brave, la sua vera natura. Era intuibile in Polaroidquesta sua attitudine lirica, ma appunto era ibridata con tutto il resto, e non si sapeva da quale dei due autori provenisse. Adesso che però si è sprigionata, possiamo confermarla ed ammirarla in tutta la sua lucentezza.

Tra Alan Sorrenti e Gianni Togni

Ritmo, parole e ritornelli. Un triangolo di valori che proprio tra anni ’70 e primi ’80 ha trovato delle funzioni davvero vincenti. La chitarra, Alan SorrentiFigli delle stelle; il piano, Gianni Togni e Luna. Brani che sono meccanismi perfetti di scrittura, di comunicazione, di comunione semplice (per alcuni, sempliciotta) tra musica e parole. Musica che non è quella di Dalla o De André, ma coglie lo stesso nel segno che si propone: porre l’accento su un messaggio poetico, romantico e empatico, popolare. Ascoltando e riascoltando Stanza singolai ritornelli del disco, le chitarre incastonate nelle produzioni (sempre più magistrali) di Ceri, il fraseggio di Franco, ecco, si può dire che anche in questo caso, sono tutti elementi che riescono ad unirsi e fondersi l’uno con l’altro a meraviglia, nel loro intento di comprensione, di divulgazione. Musica fatta di chiarezza espositiva, di sintesi, di estrema orecchiabilità, come quella retró di Brioschi, quella in stile Noccioline come Fa lo stesso Vabbè, quella sbarazzina di Oi Oi. Il tratto che ci fa riesumare robe anni ’70 è anche – e soprattutto – racchiuso qui.

Sono canzoni sincere, quelle di Franco 126, aperte e non ermetiche, quindi dirette. Questa è proprio la bellezza maggiore del cantautorato pop, di cui Franco ha saputo raccoglierne l’eredità: prendere la poesia al volo come se fosse un palloncino che altrimenti sarebbe volato via, e riportarlo senza troppi giri tra le persone. Franco 126, con Stanza singola, ha preso il filo di quel palloncino.

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