Calmi, calmi! Prendere 10 non è una roba da tutti: figuratevi se i Foals ci sono riusciti davvero, per lo più dopo la dipartita di Walter, l’unico della band che dal giorno 1 non ha mai mollato niente.

Il voto 10 che diamo è solo la somma dei voti dei due album. Siete liberissimi di scegliere voi quanto dare ai singoli album: occhio, però, che la somma deve dare sempre e comunque 10.

Oggettivamente

Partiamo dal dato più oggettivo e meno opinabile di tutti: la band di Oxford non trova idee interessanti da almeno 6 anni, quando uscì Holy Fire. Da quel momento i Foals hanno iniziato a plagiare loro stessi e a produrre decine di brani riempitivi per completare i propri dischi, cercando di pubblicarne il più possibile per non perdere il treno dell’hype.

Già in What Went Down c’era puzza di roba risentita milioni di volte: niente di memorabile, solo quei 3 o 4 cosiddetti pezzoni e altri 6-7 canzoni buttate lì a caso, tutte uguali tra di loro e uguali ai lavori degli anni precedenti.

Ma questa volta siamo di fronte a un gran bel letamaio. Ovviamente c’è anche qualcuno che apprezza la merda e si accontenta di qualche pezzone di cui sopra.

Ma andiamo con ordine.

ENSWBL Part 1

Ok, la pt.1 è un filo migliore della pt.2, così almeno vi sveliamo il nostro preferito.

Si inizia forte, oramai è un must dei Foals. Moonlight è l’intro che ti fa sperare in qualcosa di veramente grandioso. Giustamente non esplode mai, perché è il disco a dover esplodere. E infatti esplode subito dopo con Exits (ci risiamo col groove di Inhaler). Bravo, però, Edwin che sei tornato a suonare bene le tue tastierine, tvb.

Dopo qualche minuto, però, il disco inizia a non capire più che direzione voglia prendere. White Onions continua la saga del ‘ci piacciono tanto i Royal Blood, compressiamo tutto” iniziata con Snake Oil, risultando un brutto upgrade della cara Providence. Cafe D’Athens prova a emulare qualcosa dei Glass Animals in versione up-tempo e dietro a On The Luna si nascondono i bellissimi scarti/sample di Total Life Forever.

Miglior figura fanno la bass-driven Syrups con il suo crescendo schizzofrenico, la danzante In Degrees (che è un tributo agli !!! (Chk Chk Chk)) e la malinconica Sunday, nonché il brano meglio riuscito del disco. Ispiratasi alle vecchie ballad Bad HabitMoonLonely Hunter e Late Night ci trasporta in vacanza con Yannis sul Monte Athos, nella sua amata Grecia, in mezzo a monasteri e alla natura brulla, per prepararci alla fine del mondo.

ENSWBL Part 2

Si inizia forte, oramai è un must dei FoalsRed Desert è l’intro che ti fa sperare in qualcosa di veramente grandioso. E non esplode mai giustamente, perché è il disco a dover esplodere. E si esplode subito dopo con Wash Off (ANCORA IL GROOVE DI INHALER). Fanculo a Edwin che hai spento le tue tastierine, 🖕.

Sì, è un copia-incolla. È tutto uguale: questa recensione, come questi due dischi. Gli stessi testi, gli stessi riff, la stessa cazzo di batteria per 79 minuti, la stessa cazzo di voglia di spaccare tutto fine a sé stessa che non porta a niente di nuovo e interessante.

La differenza sostanziale nelle due parti sta che in questa (che non completa niente della prima, a differenza di quanto annunciato da Yannis) la band decide di tributare la musica hard-rock degli anni ’70 in chiave… boh post-indie – se mai esistesse un genere con questo nome. Con qualche differenza, tecnica e innovativa più che altro, con chiari riferimenti ai Rush, ai Led Zeppelin, agli AC-DC e via dicendo. E purtroppo non c’è molto altro da segnalare.

Se nel 2008, mentre mi segavo su Cassius e Balloons mi avessero detto che i Foals sarebbero arrivati a fare un album hard-rock, me lo sarei tagliato in quel preciso istante.

E quindi?

E quindi se vi piace pogare e vi serve una indie-band con cui headbangare la testa nel 2019 (dopo l’ultimo degli Arctic Monkeys, la scissione dei Maccabees, la morte totale dei Bloc Party ecc.) siete nel posto giusto, giustissimo. Se vi piacciono i live potenti continuate pure a vederli i loro concerti che comunque meritano il prezzo del biglietto (a differenza di 5-6 anni fa).

Ma proprio questo è il punto debole della band: l’assoluta voglia di dover far pogare le persone. Ci riescono alla grande eh, ma dagli ultimi 3 album abbiamo sentito che danno il meglio solo quando si siedono tranquilli e scrivono musiche e testi più riflessivi e intense (vedi Sunday, I’m Done With The World (& It’s Done With Me) e mettiamoci pure dentro Into The Surf).

Se però cercate nuova musica, nuove idee e qualche disco bello dall’inizio alla fine non perdete tempo con ‘sti album.

Ripassate i vecchi lavori e piangete sui bei tempi che furono.

Tracce consigliate: una vale l’altra