È il 2008 ed i neo-nati Fleet Foxes pubblicano un album omonimo che conquista subito il cuore di numerosi fan, nonché della critica che gli assegna un disco d’oro in Gran Bretagna. La band si fa però pregare e la gestazione di ogni loro lavoro è piuttosto lunga e difficoltosa, tant’è che di album, nel corso di questi nove anni, ne hanno pubblicati solo tre, ma senza mai fallire un colpo.
Le sonorità folk della band statunitense vengono arricchite da colori caldi che si avvicinano al panorama indie-pop, ma i debiti stilistici della band si rifanno a una cultura musicale che i due membri originari ereditano altrove: sia Robin Pecknold che Skyler Skyjelset, infatti, allenano le proprie orecchie sin dalla più tenera età grazie a genitori che li avvicinano a Bob Dylan, Neil Young, Hank Williams e Brian Wilson.
Considerata la pausa presa dal gruppo tra il 2013 ed il 2016 ci si poteva aspettare che la loro musica ne avesse in qualche modo risentito. In realtà, essa sembra averne giovato: Crack-up è un album complesso, fatto di sonorità ben più ricercate dei due lavori precedenti, un’ispirazione che pesca a piene mani da una tradizione che si rifà alla psichedelia, al progressive-rock, ma non solo; è possibile sentire anche una sofisticatezza quasi orchestrale, soprattutto nel layering di cori e melodie. Non più ballads acustiche ma vera e propria ricerca sonora, che ha elevato lo stilema folk della band a nuovi orizzonti espressivi.
La ricercatezza stilistica appare da subito in Third of May / Ōdaigahara, il primo singolo uscito dopo gli anni di silenzio. Pecknold, a riguardo, scrive: “My friend and bandmate Skyler Skjelset’s birthday is May 3, and our album Helplessness Blues was released on May 3, 2011. The song “Third of May / Ōdaigahara” is about my relationship with Skye. […] the feeling of having an unresolved, unrequited relationship that is lingering psychologically. Even if some time apart was necessary and progressive for both of us as individuals, I missed our connection, especially the one we had when we were teenagers, and the lyrics for the song grew out of that feeling.“, nonché un riferimento al quadro di Goya. Il pezzo esplode immediatamente grazie ad un pianoforte concitato, mentre le ritmiche al minimo e la chitarra accompagnano verso un mondo sonoro che si arricchisce in ogni istante: archi, cori, percussioni. Il delicatissimo riverbero dato dagli archi suonati in maniera non convenzionale, quasi stridente, dà al brano un sapore prog-rock, soprattutto a metà del brano, dopo il silenzio strumentale, quando tutto il pathos è retto dalla voce “Was I too slow? Did you change overnight? Second son, on the other line…” le chitarre prendono il controllo accompagnate da violini. Un pezzo nel quale Pecknold mette il cuore, al punto dal sentire la necessità di spiegarlo ai propri fan con annotazioni inserite di proprio pugno all’interno di genius.com.
Queste dissonanze sonore ritornano anche nell’apertura I Am All That I Need/Arroyo Seco/Thumbprint Scar dove le due-voci iniziali non fanno di certo presagire i ritmi galoppanti che arriveranno di lì a breve.
Crack-up è fatto di dissonanze, sì, undici universi che si incontrano; nessuno dei mondi che popola l’album manca di sostanza, i testi sono un arazzo multicolore di citazioni, riferimenti, così come lo è il miasma controllato delle sonorità che le accompagna.
Nel turmoil sonoro Kept Woman sembra un fiore che sboccia nella notte: i tasti del piano, toccati delicatamente come fossero petali, sono accompagnati da arpeggi alla chitarra che sembrano fatti su fili di ragnatela. If You Need to, Keep Time on Me mostra chiaro la dimensione del tempo che fa da fil-rouge a tutto l’album: si ha l’impressione di ascoltare i minuti passare, vedere il tempo scorrere in ossequioso silenzio. Proprio come avviene con Mearcstapa, riassuntivo, invece, delle sonorità che caratterizzano l’album, sempre a cavallo tra un nuovo sperimentalismo ed il folk che ha reso la band popolare.
I Should See Memphis è poi una traccia malinconica, nella quale la voce sembra agognare a nuovi fini, trasportata dai violini che in modo antitetico emergono proprio grazie alle note basse della voce.
Crack-up prende in un certo senso le distanze dalla produzione precedente: il nuovo sound non permette distrazioni, tant’è che se mentre in precedenza la musica poteva diventare un sottofondo, ora invece chiede espressamente attenzioni; in cambio del tempo dedicatogli, la nuova fatica dei Fleet Foxes vi porterà a viaggiare per le praterie nord-americane, a visitare le cattedrali di sequoie secolari, a toccare le nuvole impalpabili del Fuji e chissà quanto altro.
Tracce consigliate: Third of May / Ōdaigahara, Kept Woman, Mearcstapa