I Fall Out Boy, non raccontiamoci panzane, sono uno di quei gruppi che intorno ai miei anni di liceo, ormai per fortuna lontanissimi, appartenevano alla sfera estetico-musicale degli ultimi emo (per emo, salvo ove menzionato intenderò solo ed esclusivamente il fenomeno più commerciale che musicale di metà anni 2000); appartenevano, e non uso questo termine a caso, in particolare alle ragazzine, i cui ormoni esplodevano per il cantante con l’eyeliner. Che brutta cosa, che tempi oscuri.
L’anno scorso, dopo uno scioglimento che ha lasciato sicuramente milioni di cuori infranti in giro per il mondo, Gerard Way, l’ex cantante dei My Chemical Romance ha provato a ricostruirsi una verginità con una carriera solista a metà tra il glam rock e il britpop. Sui risultati mi permetto di non parlare, non avendo ascoltato l’album; ma sono quantomeno felice che siano sparite le giacchettine da parata nere. Il trucco invece, c’è ancora.
Chi invece non si piega sono i nostri quattro bravi ragazzi di Chicago che dopo una breve pausa di riflessione sono tornati alla carica; questo American Beauty/American Psycho è già il secondo lavoro post-reunion e ci sono una manciata di singoli, rilasciati a vario titolo, che nel giro di un mese o poco più sono diventati esattamente metà dell’album intero. Qualcuno è un po’ impaziente in casa discografica? Giusto per darvi un’anticipazione succosa: di questo album io ne farei volentieri a meno.
AB/AP riesce ad essere perfino più adolescenziale, caotico, confusionario e confuso di quanto fossero anni fa. Caotico in particolare sembra davvero la parola giusta. Perché, insomma questi singoli come suonano? Male per Dio, male.
Sembrano il risultato di aver messo quattro persone senza nessuna idea di cosa significhi comporre una canzone insieme con l’unico comando di suonare per quattro minuti insieme. Irresistible sembra un tragico manifesto: ritmiche sincopate, cantato quasi rappato, corettoni anthemici da stadio pieno di quattordicenni, stop&go… aiuto, è forse la resurrezione dei Limp Bizkit ma ancora meno virili?
Segue la titletrack che raggiunge livelli perfino peggiori: il feeling è sempre quello caciarone da emo anni 2000, fintamente spinto, fintamente estremo fino al punto perfetto di cottura dell’ascoltatore medio. Ma questa volta ad aggiungere fastidio c’è una vaga electro-nicità: e per fortuna il nome del responsabile salta fuori in breve. La produzione del brano è stata affidata al redivivo SebastiAn, proprio lui.
Grande sofferenza viene inflitta all’ascoltatore dalle successive Centuries (l’approccio epico-peplum al rock brutto), Uma Thurman e poi basta basta basta cazzo basta.
È un album i n f i m o. Pigliatevi il voto e andate a casa.

Traccia consigliata: nessuna?