Acclamati, nuova rivelazione, ‘Sound Of 2012’, Londinesi d’america; di parole sul gruppo di Peter e soci ne sono state spese molte negli ultimi tempi. Il quintetto anglosassone, dopo aver rilasciato due EP nel corso del 2011, esce quest’anno con l’album d’esordio “Shallow Bed”. Parlare di un lavoro innovativo risulta difficile, le 12 tracce che compongono la produzione richiamano con forza le sonorità che hanno dato fama e prestigio negli ultimi anni a tutto quel filone di band indie/pop/folk/barbEcappellidilana: nel lavoro dei Dry the River ritroviamo il suono orchestrale degli Arcade Fire, l’estro onirico degli Elbow, le cascate zuccherose dei Band Of Horses, qualche eco lontano dei The National (pochi pochi), ed infine la “sicurezza” radiofonica dei Mumford & Sons.

Insomma, questo Shallow Bed scorre senza pretese tra un rimando e l’altro, un piacevole viaggio tra colline dorate, spighe di grano, e strade che si perdono all’orizzonte; dal finestrino appannato fatiscenti fattorie in lontananza. Una solitaria passeggiata accompagnati da brani che ci immergono in malinconici tramonti ( la finale “Lion’s Den”) e classiche ballate  dal retrogusto folk; concludendo, il lavoro dei cinque londinesi riesce ad emozionare, o quantomeno a risultare piacevole e mai noioso.

Valore aggiunto al’opera sono le tematiche dei testi; tra amori impossibili, storie di vita vissuta, alcolismo e tormentate riflessioni, le parole di Peter riescono ad entrare perfettamente in simbiosi con le sonorità della band, calando l’ascoltatore in situazioni  che chiudendo per un attimo gli occhi prendono vita intorno a noi; l’odore della terra.

Per concludere Shallow Bed, è un buon disco, nulla di più, nulla di meno; piacerà molto agli amanti della flanella, un po’ meno ai cittadini più puristi.

Un disco da tenere in macchina; se vi ritroverete in campagna quando il sole è ormai basso, tirate giù il finestrino, annusate l’aria, e lasciate che i Dry The River cantino per voi.