C’è un pensiero che apre il sipario di ENERGY: i Disclosure non possono vivere per sempre di Settle, il loro album d’esordio con cui hanno conquistato il mondo e un decennio di dancefloor. Il tentativo iniziale di uscire da quella bolla passò per Caracal, un disco che sembrava prodotto da una stampante 3D, per cui sono stati comprati gli ingredienti – le voci più pop del momento e beat privi di anima – e sono stati inseriti negli appositi alloggi per dare forma alla cosa.
Poteva fare peggio ENERGY? forse no. In effetti non l’ha fatto. Ma non poteva fare nemmeno tanto meglio, ce ne siamo resi conto man mano che i singoli di questo terzo lavoro in studio uscivano nel corso dei mesi. Ed è così che ci ritroviamo tra le mani quello che è il terzo album dei fratelli Guy e Howard Lawrence, ma che di album non ha niente. Se due indizi fanno una prova, Caracal + ENERGY dimostrano che sono ormai anni che i Disclosure hanno perso dalla loro cassetta degli attrezzi la capacità di innestare nei loro lavori un collante, una scenografia unitaria, un filo rosso in grado di attraversare tutto il tessuto della loro creatività, e riavvicinarsi così di nuovo alla cifra con cui sono partiti. In poche parole, sono anni che mancano della capacità di costruire un album ben fatto.

Quelle di ENERGY sono tracce che non dettano nessuna regola, che non introducono alcuna soluzione nuova oltre all’ormai mitologico tappeto di una rediviva UK Garage, movimentata (o a questo punto: anestetizzata) dall’irregolarità 2-step; poi quei synthoni tutti gommosi, che sono il marchio di fabbrica dei Lawrences, certo, ma che dopo dieci anni iniziano a stufare, se non altro perché dopo i primi tempi di gloria, sono stati consumati anche e soprattutto tra le piste dei peggiori club, ad esempio, di San Antonio (Ibiza), di Malta e – affogati dall’odore forte di naftalina e disinfettanti di quei club – hanno un po’ perso la loro capacità di mettere d’accordo tutti.

L’album però non inizia malissimo, Watch Your Step si fa ascoltare, e merito è anche della voce di Kelis: uno dei punti forti dei Disclosure – va detto – resta ancora quello di valorizzare le voci fuoriclasse, come dimostrano, oltre a Kelis, anche Kehlani e Syd (The Internet) in Birthday, decima traccia di ENERGY e uno dei punti salvabili del disco. Non a caso quest’ultima è una delle registrazioni più vecchie di tutto l’album, e infatti per sonorità (R&B e neo soul) e temi (si parla di ex amori) esula da tutto il contesto. Ma a questo punto però ci possiamo chiedere: esiste un contesto in ENERGY?
Ci sono Lavender e Who Knew che passano inosservate; in mezzo a loro, c’è My High, terza traccia del disco che vede la partecipazione di Aminé e slowthai. Due rapper contemporanei che con il loro stile rude si scambiano due lunghe strofe, accompagnate da un beat monotonissimo e basico che accende un problema ulteriore: non si riesce più a capire cosa si sta ascoltando, quando si ascolta slowthai; se un feat. coi Disclosure o con Mura Masa o con un altro producer, se un pezzo da un suo album, se è ospite nel disco di un altro rapper. Insomma, se in ENERGY già ci si perde in un bicchier d’acqua perché non si capisce dove vuole parare, con slowthai questa sensazione si amplifica.

Non capiamo dove ci vuole portare ENERGY, perché dopo questo poker iniziale, arrivano Douha (Mali Mali) e la voce di Fatoumata Diawara, che aveva già collaborato col duo britannico in Ultimatum, brano del 2018. A fianco del canto di Diawara, corre un beat anche stavolta incredibilmente anonimo, caratterizzato dal breakbeat che inizia dal primo secondo dell’album e che, se lo imiti tamburellando con le dita sul tavolo, ti rendi conto che lo percorre tutto (fatta eccezione per Ce n’est pas). Forse per non cadere nella trappola di facili e ignoranti esotismi (Guy a Howard: “Bro, non sento l’Africa”…), i fratelli Lawrence non azzardano niente con l’artista maliana, ma comunque vogliono dare un’immagine di loro cosmopolita, ed ecco che irrompe un avvicinamento all’equatore così de botto, senza senso (tanto per restare in tema).
Risparmiata nel beat di Douha (Mali Mali), la cifra esotica purtroppo arriva comunque, in ENERGY, la traccia eponima dell’album che vede alla voce Eric Thomas, il vocalist-star dell’Intro di Settle e When A Fire Starts To Burn. Ecco, insomma, questa canzone, Jovanotti e mondiali Brasile 2016, piena di percussioni e discorsi motivazionali, imbarazza un po’; imbarazza perché potrebbe essere sia la colonna sonora della scena del Divo della festa a casa di Cirino Pomicino, sia il jingle per introdurre alla convention annuale il boss di una società piramidale. Non bene.

Come risulta non bene anche l’esperimento finale, quella Reverie che ospita Common, il grande rapper di Chicago, idolo di Guy e Howard, chiamato a una prova del tutto innaturale: installarsi nell’ultimo monotono tassello dell’album, che fino alla fine non cambia di una virgola; quell’ultimo tassello che proprio ti fa sventolare la bandiera bianca e ti fa ormai definitivamente pensare che i Disclosure, tutto quello che avevano da dire, l’hanno detto col loro album d’esordio. Il resto sta prendendo la forma di un’appendice, di una conseguenza dell’apprendistato diventato successo e che ha dato loro la possibilità di usare una formula da ripetere evidentemente all’infinito, senza alcuno spessore nuovo.

ENERGY è un disco privo di idee e di collante, lo dimostra il fatto che al posto di quelle undici canzoni potevano essercene altre undici e il risultato non sarebbe cambiato (la versione deluxe ha infatti una lunga seconda parte che evidenzia una continuità monocorde e l’assenza di elementi indispensabili nella prima, e anzi contiene i pezzi con Khalid, che sono stati i maggiori successi del duo dai tempi di Latch). Questo terzo album è insomma il grado zero dei Disclosure, i quali non vanno oltre alla costruzione in serie di pezzi passabili nelle piste di tutto il mondo, in un momento x della serata, ma forse, a questo punto, in uno di quelli meno movimentati.

Tracce consigliate: Birthday