Piccola premessa in cui metto le mani molto avanti: in questa recensione non si parla poi molto del nuovo disco di Dargen D’Amico visto che c’è davvero poco da dire, ci si dilunga invece sul suo passato e sul percorso che lo ha portato qui; fine della piccola premessa in cui metto le mani molto avanti.

Se penso a Dargen mi viene in mente un disco in particolare, che è Di vizi di forma virtù, una di quelle cose che ha cambiato il mio modo di pensare e vedere le cose da adolescente. Quando ne parlavo con altri ragazzi della mia età o più grandi, sostenevano facesse brutta musica (eufemismo per “frociate“), specialmente dopo l’uscita di CD‘, che in effetti è un disco in cui parla solo di amore ma con qualche spunto non troppo banale. Per quasi tutti Dargen era nato e morto con 3 Mc’s al cubo, nel 1999, insieme a quegli altri due cheoranonmiricordocomesichiaminoscusate ed insomma con i giochi di parole, gli incastri e gli extrabeat. Ed invece lui continuava a farli (i giochi di parole e gli incastri), solamente la scrittura, la metrica, erano completamente diversi, qualcosa che in Italia (in America c’era Sole e la Anticon più in generale) non si era mai sentito e che nessuno ha più rifatto, già da Musica senza musicisti questo è abbastanza evidente.

Dopo un progetto di cover con Nic Sarno, Balerasteppin, esce Nostalgia Istantanea, due tracce fiume da 18-20 minuti in cui il senso globale è lasciato da parte per seguire un flusso di pensieri e di associazioni oniriche. Criticato da molti, lodato da moltissimi, Dargen a questo punto ha un seguito parecchio solido di seguaci. E con seguaci intendo gente che non si scompone davanti ad album come Vivere aiuta a non morire, un’oretta di banalità e suoni molto brutti (Un fan in Basilicata, Bocciofili, ce ne sarebbero moltissime da citare), ma che anzi riesce ad ergerlo a pietra di paragone per quello che viene dopo, cioè adesso: D’iO.

Lanciato assieme ad un bundle completo di discografia, inediti (L’Ottavia) e collaborazioni (Dargen & D’Amici), il nuovo disco sembra annunciare la fine di una carriera, dal titolo all’edizione limitata pare tutto molto apocalittico, e questo mi aveva convinto a sperare – nonostante Vaanm – in una conclusione degna, invece. I primi due pezzi, i due estratti, sono probabilmente la parte peggiore del tutto, una cover di Leona Lewis e una filastrocca su Milano, niente di più. Tocca aspettare fino al settimo pezzo, La mia donna dice, per sentire qualcosa che si scosti dalla monotonia delle basi del disco – forse anche Crassi ha qualcosa che vale la pena di essere ascoltato, di certo non i vocalizi del ritornello o la seconda strofa. Dopodiché altra noia e altre banalità fino a Modigliani, che senza nessuna pretesa nel testo o nella melodia si lascia ascoltare, e si sta bene, lo avrei preferito come ultimo pezzo. Rispetto per Las Vegas Honey Moon, accozzaglia di parole casuali e Lunedì chiuso, che si guadagna lo skip al quarantesimo secondo. In sostanza Dargen se ne esce con un disco denso di retorica (Io, quello che credo), copiato di peso dalle parti liricamente peggiori dei pezzi del disco precedente, noioso perfino in sole tredici tracce: brutto.

Traccia consigliata: Modigliani.