I migliori album hip hop degli ultimi anni (penso a quello di Kendrick, Kanye, Vince Staples o Anderson .Paak) hanno dalla loro un suono peculiare, immediatamente riconoscibile. Atrocity Exhibition (sì, il titolo viene dal pezzo dei Joy Division, peraltro campionato in Golddust) fa parte di questa categoria senza dubbio. Chi conosce Danny Brown sa già che ci si trova di fronte ad un rapper unico per personalità e musica, ma con questo nuovo album ci si spinge ancora oltre. AE è un bad trip: ansioso, paranoico, a tratti esilarante.

Lo scorso giugno esce il video di When It Rain e la sinergia con il pezzo è incredibile. Visual a metà tra un reportage e 01101  si intrecciano mentre Brown delinea nervosamente le tematiche del disco (sesso, droga e violenza, ovviamente).
Due mesi dopo, a metà agosto, un altro singolo: Pneumonia. Prodotta da Evian Christ (ha collaborato con Kanye in Yeezus), la strumentale basterebbe da sola al repeat del pezzo per una decina di minuti, l’aggiunta delle vocals di Schoolboy Q e la delivery impeccabile del rapper di Detroit chiudono un pezzo praticamente perfetto.
A settembre, infine, Really Doe. Il pezzo inizialmente stava per essere abbandonato a metà, finché Kendrick non ha scritto il ritornello ed una strofa, convincendo Danny Brown a completarlo e chiamare Ab-Soul e Earl Sweatshirt, creando quella che è la collaborazione dell’anno (finché non uscirà un pezzo di Future e Desiigner chiaramente).

Questi tre pezzi costituiscono l’ossatura del disco ed anticipano qualcosa di grandioso, ma mostrano anche alcuni punti deboli. Tra tutti, sicuramente la scrittura. Nonostante le numerose metafore ed alcune idee effettivamente buone, non c’è nulla di interessante negli infiniti riferimenti all’abuso di droghe, al sesso casuale, alle sparatorie – anche se, va detto, Detroit fa effettivamente schifo. Per quanto tutto, dal titolo al personaggio in questione, lascino trasparire che in fondo l’intento sia proprio quello di esporre dei fatti crudi, la cosa non può funzionare. In fondo, cosa c’è di impressionante in tutto questo? Il rap ha una storia di episodi molto più violenti ed espliciti.
Ma la cosa funziona, molto bene anche. Perché quello che caratterizza AE non sono i testi ma il modo in cui vengono trasformati in musica, e Danny è un maestro nel farlo. Grazie a questa abilità innegabile possiamo sorvolare sulle sparate misogine o sull’onnipresente coca, potremmo anche smettere tout court di ascoltare ciò che viene detto, rischiando però di perderci i deliri alla Edan  che ogni tanto, fortunatamente, spuntano fuori.
Altra pecca è l’utilizzo della voce, perlopiù stridula e acuta come Danny ci ha abituati; nei pochi casi (Tell Me What I Don’t Know e From the Ground) in cui viene usato un tono più profondo, le emozioni sembrano quasi sparire in una sorta di recitazione apatica.
Nonostante ciò, i momenti meno brillanti sono assolutamente offuscati dalla qualità complessivamente elevata delle produzioni e dal talento del soggetto al microfono.

Chi arrivasse a questo disco senza aver sentito nient’altro (il più “semplice” Old ad esempio) potrebbe avere qualche difficoltà ad approcciarsi ad un album certamente estremo, per quanto non musicalmente rivoluzionario. Ma dopo aver sbattuto un paio di volte la testa contro le atmosfere ansiogene e sbroccate di Atrocity Exhibition si dovrebbe abbandonare qualunque pregiudizio. Se XXX è stato il disco della svolta per Danny Brown, questo è il disco della carriera.

Tracce consigliate: Pneumonia, Really Doe, Downward spiral