Il progetto Cult Of Youth inizia a farsi portabandiera delle produzioni musicali di Sean Rogan già dal 2007 con singoli e un LP limited edition ma solo nel 2011 con il same titled d’esordio si ha la possibilità di ascoltare il frutto di un lavoro di una band completa che aveva affiancato Sean nella composizione. Il disco presentava nel ruolo di addetto al mixing, Kevin McMahon, produttore degli Swans. Un nome che vi aiuterà sicuramente a collocare approssimativamente il sound dei CoY nei vostri tag musicali.
Dal 2011, la band di Brooklyn è rimasta uno dei nomi storici del roster della Sacred Bones Records, pubblicando tramite l’etichetta newyorkese Love Will Prevail e questo Final Days. In questi anni il sound del progetto è sempre rimasto fedele alle proprie origini cercando comunque di non pregiudicare una costante esplorazione di nuove terre, limitrofe sì non battute in precedenza. Come l’uroboro, simbolo della loro label, compiono un cerchio anche i Cult Of Youth, e partono dall’oscurità degli esordi verso venature psichedeliche e dall’eloquente positività di Love Will Prevail hanno assorbito la luce che torna fioca e flebile in Final Days.

Il disco si presenta con una combo estetica e musicale eclatante: una copertina di ambientazione biblica e una opening track, Todestrieb, che con le sue funeree percussioni evoca magistralmente la pulsione di morte che sta a significare. Da un lato l’impulso distruttivo e oscuro thanatos, dall’altro il suo rovescio, eros. La progressione del disco miscela con sapienza piccole gemme dal contenuto esplosivo come Empty Faction, God’s Garden e No Regression brani che suonano come gli Smiths con Morrissey in growl oppure ancora i Bauhaus che imbracciano le chitarre acustiche.
Nelle altre tracce invece i neofolker americani hanno letto per bene il manuale del genere scritto da artisti come Death In June (Of Amber, Roses) e l’ambiziosa Sanctuary, 9 minuti di liberazione dionisiaca e caotica dell’uomo.

Final Days è il ritorno all’ombra rassicurante e un’altra perla della collana dark di release di un 2014 non proprio esaltante, un piccolo sottobosco in cui alcuni nomi hanno ottenuto ampi consensi (vedi Iceage) e di riflesso hanno permesso, come per paradosso, di portare luce in questo scantinato di musicisti emaciati pieni di feels.

Tracce consigliate: God’s Garden, Down The Moon.