Il suono della gente che fa l’amore” è diventato musica illegale? Bene. Allora ecco, un pomeriggio di maggio, all’improvviso, Cosmo. Sì, Cosmo; Marco Jacopo Bianchi.

L’artista piemontese, il 12 maggio, a tre anni dall’ultima traccia che ha lasciato di sé, ha annunciato che sarebbe successo qualcosa, e così è stato: alle 17:00, tra i suoi canali social e tra gli spazi del Magnolia di Milano e del Monk di Roma, due tempietti della musica dal vivo in Italia da troppo tempo inattivi, è stato presentato La terza estate dell’amore. Si tratta del quarto album di Cosmo, pubblicato poi il 21 maggio; si tratta di una seduta di fisioterapia in dodici tracce, un’ora precisa di musica pronta a fluidificare movimenti del corpo dell’ascoltatore ormai, altrimenti, intorpiditi . E proprio i corpi sono i protagonisti assoluti della Terza estate dell’amore.

Da Cosmotronic e soprattutto dal tour che lo ha portato a fare sold out in tutta Italia, Cosmo ha limato sempre più le caratteristiche del suo progetto: da una parte ha affinato la sintesi di techno, pop e cantautorato che contraddistingue i suoi dischi; dall’altra ha approfondito la parte più teorica della sua musica, che ad oggi possiamo definire, ormai, una vera e propria filosofia. Di che si tratta? Si tratta “di qualcosa che ancora non ha un nome”, come recita il manifesto che ha accompagnato al Monk la première dell’album; ma è qualcosa che possiamo ben comprendere, ascoltando le tracce. La filosofia di Cosmo, e il fine ultimo della Terza estate dell’amore, è quello di connettere, di risvegliare, di unire tutto ciò che per un’emergenza culturale e, più recentemente, un’emergenza sanitaria è stato disgregato, addormentato, diviso.

L’amore risale da sottoterra”, canta Cosmo in Dum Dum, all’apertura del disco. La placca terrestre si muove: si inizia con un’elettronica ovattata, dalle frequenze basse che poi si aprono in Antipop, il solito brano di protesta contro le commercialate, diremmo, e questo, in effetti, è; ma nell’economia dell’album ha una sua coerenza: Antipop è un modo per ricordare che in questo momento la musica uscita in serie dalla fabbrica delle major è tempo perso. La musica, ora, deve avere un senso: deve squarciare il torpore dei corpi addormentati, deve rinvigorire il terreno arido dei sentimenti. C’è bisogno della sensualità di Fresca; c’è bisogno di ritrovare l’intimità di Noi, la libertà e la rinascita di Vele al vento. La musica deve ridiventare una fenomeno collettivo per Cosmo, deve riavvicinare innanzitutto i corpi. E se il fine giustifica i mezzi, allora va bene anche aggiungere, in Mango, un sentore di ballo di gruppo.

Nella parte centrale del disco arrivano i brani più interessanti: Cattedrale, che ricorda nella sua poetica Sei la mia città, ci sono poi le allucinazioni di Puccy Bom e quella Fuori, con Silvia Konstance, che con il suo titolo mette in risalto una delle parole chiave di tutto La terza estate dell’amore. Fuori è infatti l’esortazione maggiore che Cosmo diffonde nel corso del lavoro; fuori per ricominciare a vivere, fuori per sciogliersi nella musica, per ritrovare una coscienza, del corpo e della mente, che qui nell’album ritrova voce e parla chiaramente in Io ballo e, stravolta dall’autotune, in Gundala.

Per chi ha l’adesivo del Club to Club appiccicato su ogni suo avere, l’elettronica di Cosmo sarà probabilmente considerata povera di ricercatezza e di campionamenti arditi. Vista così, in effetti, la techno –  tendente anche all’house in alcuni casi e più vicina all’ambient in altri – che sta alla base della Terza estate dell’amore è un po’ come il rock dei Måneskin: basilare. Ma i dettagli su cui soffermarsi sono altri. Su tutti, il fatto che le produzioni di Cosmo, mai come stavolta, abbiano trovato piena aderenza con la filosofia alla base del progetto. La terza estate dell’amore è l’album di un cantautore che invoca il ritorno di un sentimento sopito, ma, anziché farlo con chitarra e parole soavi, lo fa con la cassa dritta e corpi nudi che ballano.

Tracce consigliate: Antipop, Fuori