Dopo la fluttuazione negli spazi aerei di Pulviscolo, torna a tre anni di distanza Colombre con Corallo, il suo nuovo album che ci permette di dire che dalle parti del cantautore va tutto bene.

Tutto bene perché Colombre non è cambiato per niente. Una constatazione che qui da noi, di solito, pende verso un’accezione negativa, ma in questo caso, dire che Colombre in tre anni si è mantenuto su uno stesso grado di qualità, è un bene. Giovanni Imparato (questo il suo nome) è uno di quegli attori che ha fatto la prima comparsa durante l’esplosione dell’itpop. Il suo però inizialmente è stato uno dei nomi che è rimasto nel mezzo, uno di quelli di cui si è riconosciuta la bravura, ma è stata sepolta dal clamore di chi, in quegli stessi tempi, tracciava una parabola culminata poi nei palazzetti di tutta Italia. Ma se adesso si osserva il setaccio che ha filtrato tutta l’ondata di quella scena musicale (ovvero se si osserva ciò che il tempo tiranno ha combinato), si può fare ordine. Tra le tante proposte uscite negli ultimi tre anni che sono svanite già nel nulla, è rimasto ben visibile, invece, il talento di Colombre. Un residuo prezioso che oggi si svela con un album davvero bello, in cui la potenza delle canzoni ridiventa centrale.

Durante i primi minuti scoppiettanti di Corallo, ascoltiamo un Colombre classico, ma con qualche variazione. È sempre il cantautore in grado di scrivere su una filigrana anni ’70 parole e immagini dei giorni nostri, ma che ha risciacquato i propri panni dentro le acque di Bomba Dischi. Ecco che allora le chitarre oscillano tra Alan Sorrenti e Calcutta, tra Lucio Battisti e Giorgio Poi. C’è poi in tutto il disco una batteria pulitissima e fondamentale, affidata anche a Fabio Rondanini degli Afterhours. La percussione cambia rotta più volte, traina tutte le ondate dell’album, che dalla metà in poi si fa lentamente più enigmatico, tinte fosche che echeggiano i Baustelle più canonici. Con Mille e una notte, infatti, le atmosfere diventano più cupe, il giro di basso si intensifica e il registro lessicale diventa più crudo, tornano a formicolare quelle blatte che si nascondono in casa, tra i panni sporchi. “Dentro la bocca hai il veleno / un arcobaleno di oscurità”, si canta in Arcobaleno, ad esempio.

Ma Corallo è così, si nutre di molte tensioni interne, buzzatiane, di colori e ombre – che sono poi le parole che fanno il nome d’arte di Giovanni. Le sentiamo fin da subito queste tensioni, quando ai versi conclusivi della prima traccia (“Non pensare che gli altri siano da buttar via / come fossero avanzi”), risponde subito la traccia successiva, Non ti prendo la mano, una canzone che al contrario elogia la capacità di guardare oltre un rifiuto: “Se non mi vuoi più bene / non me ne importa niente / perché probabilmente / non sei così più importante”. Sotto la chitarrina à la Mac De Marco, assistiamo quindi in partenza a un primo rovesciamento, un botta e risposta interno che nutre l’anima dell’album, e ne costituisce l’andatura e la sua vitalità. Ci si allinea subito a questo senso di equilibrio, in cui niente si crea e niente si distrugge, ma tutto procede verso un disegno ben preciso. Con Terrore, terzo brano, si spalanca il vero peso specifico di Corallo. Tutto l’album è percorso da un filo tematico, illuminato da una luce perenne (“La luce entra da dove c’è una crepa, non ti sembra” canta Colombre, strizzando l’occhio a Leonard Cohen). Questa luce è l’esortazione a essere sé stessi, a spronare gli altri ad esserlo. Un album quindi basato sulla sincerità, che mira a cantare la voglia di un mondo trasparente fatto di persone trasparenti; persone in grado di capire quando è il momento di cambiare (Anche tu cambierai), quando è il momento di disseppellire “Tutto il terrore che hai / […] tutto l’amore che hai”, quando è il momento di rassegnarsi che in ogni caso, qualsiasi cosa accada, devi accettarti, sei sempre “tu, comunque tu, anche se non vuoi”.

Corallo è un disco equilibrato e misurato, elegante e cesellato, sinuoso. Tutto suona come uno stesso universo in continua espansione secondo delle regole ben precise. Strofe fatte di parole semplici ma incisive, attratte da ritornelli melodici e magnetici, veri e propri centri gravitazionali del disco. Sono otto brani, poco più di 25 minuti totali, la stessa misura di Pulviscolo; eppure, anche stavolta, al termine dell’ascolto si ha un pieno senso di compiutezza, nato dal fatto che tutto è al posto giusto, dall’inizio alla fine. Colombre, imitando l’attitudine millenaria della barriera corallina, negli anni è rimasto sommerso dentro i suoi lavori, ha nutrito lentamente la bravura dentro diverse attività (tra l’altro anche di chitarrista e di produttore), mentre in superficie è successo di tutto, e la corrente ha portato via molte cose, invitando a svelare chi e cosa valevano davvero.

E ora con Corallo possiamo confermarlo che valgono davvero, Colombre e la sua idea di musica.

Tracce consigliate: Per un secondo, Arcobaleno, Anche tu cambierai