Colapesce è “la risposta perfetta agli stereotipi ormai obsoleti sul Meridione”, scriveva The Guardian ai tempi di Un meraviglioso declino. Colapesce è “il futuro dell’Italia”, ribadiva il francese Le Monde dopo l’uscita di Egomostro.
Il confronto con il passato – inevitabile se è di un passato così acclamato che parliamo – rivela come Infedele sia un album di somme e sottrazioni: si riducono le tracce, appena otto, ma paradossalmente aumenta la complessità. L’obiettivo di Lorenzo Urciullo, affiancato per l’occasione da Jacopo Incani (Iosonouncane) e dal solito Mario Conte, si allarga e si restringe: in appena mezz’ora ci troviamo ad ascoltare di montagne e iceberg, Milano e Catania, tonni e zebre, Cristo e sultani, finocchietto e amore.
In medicina lo chiamano “disorientamento spazio-temporale”, quella condizione per cui il malato non sa dire che giorno è, il luogo in cui si trova o come ci è arrivato. E al primo ascolto ci si sente davvero così, disorientati. Mi sono chiesta in che luogo e in che tempo potessi collocare Infedele. Mi sono chiesta se fosse l’Italia, la Sicilia, l’Africa o l’Europa, e se guardasse al passato o al presente. Infedele infatti, come già il titolo suggerisce, è un album che non riesce a rispettare i vincoli – spaziali, temporali, musicali – imposti, che è incostante per definizione.
C’è la profondità leggera – o la leggerezza profonda, a voi la scelta – a cui Colapesce ci ha abituato (Totale) e quella malinconia senza troppe complicazioni che è diventata ormai il suo marchio di fabbrica (Decadenza e panna). C’è l’occhio critico verso una certa milanesità, i suoi riti e le sue certezze – che sembra riprendere direttamente il discorso iniziato da Maledetti italiani (“Aperitivo più Negroni sbagliato / Il qualunquismo che poi genera soldi / Siete tutti felici siete tutti risolti”, ci sbatte in faccia in Maometto a Milano). C’è la sacralità di Pantalica tra Cristo e gocce di sangue e, subito dopo, l’esuberanza “profana” di un brano catchy come Ti attraverso (“Lascia stare gli inglesi, la trap / I cassoni non fanno per te / Che sei nata e cresciuta a Catania”). A spiccare tra tutte, però, è la splendida Vasco da Gama: un pezzo incorporeo, arpa e chitarra acustica, che mescola erotismo e santità e ricorda il Battiato di La Preda.
Nessuna aspettativa c’è il tuo corpo
Una terra emersa appena
Da un movimento antico
Piena di grazia ti avvicini a me
Efficace più di una preghiera
Come il sale su una carne magra
Ma è solo quando si arriva al finale, l’intima ballata Sospesi, che il disorientamento in qualche modo scompare e si inizia a mettere a fuoco. E ci si accorge che le influenze di Battiato, Tenco, Mogol e Battisti ci sono, ma che Infedele va collocato esattamente nel qui e ora. Nel nostro presente caotico e meticcio, nelle nostre relazioni 2.0 in cui amiamo noi stessi sempre più degli altri (“E il lasso di tempo in cui non lavoro / Mi dedico a te / Ma a dirla tutta lo faccio / Soltanto soltanto per me”, canta in Sospesi), nella vita avventurosa che sogniamo, fatta di “viaggi non turistici fra zebre, cobra e mistici” pur sapendo benissimo che la felicità totale è fatta di un paio di scarpe nuove e un disco da poter cantare.
Volevo sentirmi libero di sperimentare, di sbagliare, di indebitarmi per i prossimi due anni.
In un’intervista del 2015 Colapesce descriveva così la gestazione di Egomostro. Ascoltando Infedele sembra che questa frase sia diventata per Lorenzo Urciullo una sorta di mantra da ripetere ad ogni album. Infedele ci mostra infatti un Colapesce diverso rispetto al passato ma non per questo incoerente, che si sente ancora libero di sperimentare, di sbagliare, di cercare un nuovo equilibrio. Semplicemente, una conferma.