chastitybelt-timetogohomeEtichetta: Hardly Art
Anno: 2015

Simile a:
Colleen Green – I Want to Grow Up
Girlpool – Girlpool
Night Manager – Night Manager

Googolare “Chastity Belt” è una delle esperienze che almeno una volta nella vita farai (e lo dico circondata da un alone mistico, quasi quello di una veggente): non importa che avvenga dopo aver visto “Robin Hood – Uomo in calzamaglia” o che sia dopo una lezione di storia tenuta da un professore di storia che ricorda vagamente Robin Williams, accadrà. Scoprire che in giro si producano ancora “Cinture di castità” potrebbe ridurti in un angolo con “Perché” infiniti a scandire i tuoi singhiozzi. Ma quel che dovrai fare è scrollare, scrollare i risultati e cliccare su “Chastity Belt Time to Go Home”.
Quel che ne deriverà sarà una piacevole sorpresa: Chastity Belt è una band pop-punk da Walla Walla (Washington) composta interamente da squinzie con Julia Shapiro chitarra e voce, Lydia Lund alla chitarra, Annie Truscott al basso e Gretchen Grimm alle percussioni. Prodotte da Hardly Art (una costola di Sub Pop, mica l’etichetta di mio zio Felice) sono l’ennesima parentesi femminile in uno scenario musicale che sempre di più sta puntando su progetti in rosa d’interesse (Colleen Green fra tutte ad esempio).

Dai talentuosi bruchi dalle buonissime premesse che erano, le Chastity Belt in questi due anni passati da assopite crisalidi, si sono risvegliate come farfalle (musicalmente parlando), con un album che cattura dalla prima traccia.
Drone, il brano d’apertura, è l’attestazione di un’evoluzione avvenuta a più livelli: vocale, strumentale e lirica. Efficacissime chitarre che sembrano figlie di un Jeffrey Lee Pierce dei giorni nostri aprono la strada alla voce di Julia che sortisce l’effetto di un’esplosione vellutata. Non si può fare a meno di notare quel sottotono dolce amaro, una tiepida malinconia, tra le parole “he was just an illusion […] I never expect much, from anyone, so I’m never disappointed and I never have to try”, un testo sull’illusorietà della libertà dei rapporti, su aspettative che si scontrano con l’egoismo pressante e presente in un ognuno.
Cool Slut è la traccia che dimostra che le vecchie abitudini non s’abbandonano, vicinissima ai testi di Regrets (2013), ha invece la pulizia e l’ispirazione surf che permeano questo lavoro, molto più del precedente. “We’re just of couple of sluts, so what? We like to fuck”, quasi un manifesto della realtà punk/femminista di Seattle alla quale la band aderisce assieme a Colleen Green, La Luz, Tacocat, Childbirth (secondo gruppo della cantante delle Chastity Belt), ecc. La scena di Seattle splende luminosa su di noi.
Ma vizi passati e pieghe più emotive non fanno mancare tracce più energetiche: The Thing è un ritorno ai primordi della band, traccia rabbiosa ed aggressiva, è la seconda punta di veleno sui rapporti umani “No one trust, anyone. Everyone is infected”, accompagnata da chitarre acide, urla e reminiscenze post-punk.
Time to go home è l’ultimo brano, l’ultimo sprazzo d’energie dopo una serata di follie passata con le Chastity Belt, saltando dagli ’80s (con quell’apertura al basso) a qualcosa di più anni ’90/alternative indie con il ritornello, tra avventure alcoliche e la poca voglia di andare a dormire.

Questo è un album che non si fa mancare nulla: dai pezzi ironici a quelli che si addentrano in sfere emotivamente più personali o a quelli più arrabbiati, il tutto tenuto assieme in 10 tracce che scorrono l’una nell’altra in modo naturale, creando l’immagine di una band, e forse di una tendenza, di musicisti che non si prendono troppo sul serio, che scherzano su se stessi, ma non per questo dimenticano di metterci la propria essenza.
E’ un album da lunghi tragitti notturni, da luci gialle che sferzano parabrezza sempre impolverati, amici che si addormentano parlandovi mentre state tornando a casa in serate caldo umide d’estate.

Tracce consigliate: Drone, The Thing