Ce lo vedo Kyle J Reigle girare e perdersi in posti del genere, nell’area che collega la città di Buffalo a Niagara Falls, da solo, con un diario di bordo dove annotare gli squallori della periferia post-industriale. Tornando a casa, dopo aver mangiato la specialità della casa (ali di pollo di un fast food), si chiude in camera, sfoglia quelle pagine ricche di suggestioni che raccontano di natura selvaggia, canne fumarie e contadini incazzosi, e ne esce un mese dopo con The Wilderness.

Si fa chiamare Cemeteries, ma tranquilli non si guadagna da vivere suonando ai funerali. In sostanza scrive requiem, ma si parla di dream pop a stelle e strisce che sa tanto di crepuscolo autunnale, dove l’aspetto goth non è il protagonista, ma solo una componente. E’ la conferma di come un sottogenere come la “musica da cameretta” riesce ad enfatizzare l’aspetto più introspettivo di chi la produce, facendo emergere un lato emotivo sconosciuto a molte band (che magari campano di questo).

Anche se il ragazzo i piedi per terra ce li ha e come. Unisce e caratterizza queste 9 tracce un po’ come se fossero uscite da un filtro Instagram, giocando più sulla memoria che sul presente, con un lavoro maniacale di sottrazione che rende ogni pezzo il seguito cronologico del precedente, e un arrangiamento che alla fine rende giustizia, nonostante sia facile perdersi nelle corde della chitarra di Young Blood o nei lunghi e un po’ rallentati riverberi dell’organo di Summer Smoke. Lo stesso si ritrova in Roosting Towns, che fa tanto pensare agli ultimi Memory Tapes, quelli senza bassi. The Wilderness è la traccia più vivace, dove Reagle impersonifica i Real Estate caduti in un’improvvisa depressione cronica, con un synth vaporoso che funge da eco anche in altre occasioni.

Il ritmo blando e immediato di questo report geografico/musicale, è ciò che rende The Wilderness un gran bel concept album, e se il futuro ne sarà da conferma, con Cemeteries sarà molto facile sognare.