Esce per la Ghost Records Still, il terzo album per i Casa del mirto ovvero la terza prova discografica per un gruppo che si è fatto portabandiera e pioniere della via italiana alla chillwave da un lustro intero.
Chillwave sì ma fatta come si deve, con un occhio particolarmente attento agli stilemi del genere (che però per fortuna non sono mai diventati l’ingrediente prevalente nelle elaborazioni della creatura di Marco Ricci) ma anche alle aperture verso altri lidi, altre soluzioni; parlare di sperimentazioni è forse troppo, conviene forse dire commistioni intelligenti e di buon gusto. E quindi Still è tutto tranne che fedele al proprio titolo che parla di immobilismo, anzi viaggia nei territori del pop raffinato quasi da classifica, nell’hip hop strumentale in stile Blue Sky Black Death, flirta con la downtempo, il trip-hop e l’IDM e si richiama ai, pare, mai troppo citati anni 80 con una costante attitudine indipendente e libera mantenuta reale, credibile senza troppo sforzo.

Still è una folle, coscientissima immersione fuori stagione nell’acqua fredda di un lago, un’esperienza che ben poco ha di reale e molto di onirico: i sintetizzatori ondeggiano, si piegano al tocco e flessibili tornano al loro posto, sorretti da un’impalcatura invisibile costruita con la delicatezza di chi sta mettendo anima e corpo nella propria ricerca. Nota da non trascurare, la versione che abbiamo il piacere di ascoltare è esattamente la quarta: sì perché la prima stesura definitiva di Still è andata persa per incidente e le due successive non erano all’altezza delle aspettative del gruppo. E se non è maniacale dedizione questa…
Paralyzed fa le veci intro ma è un’introduzione di spessore e non di mera maniera, lasciando intravedere tra le sue fronde gli elementi che affioreranno poco a poco nel disco. Come ad esempio i richiami a metà tra il trip-hop e una versione particolarmente libera, elettronica e positiva della world music in Reflex; o Last Blue Wind che sembra suonata, anzi soffiata, in bicchieri di cristallo e un beat in controtendenza che vorrebbe scappare ma rimane imbrigliato nella ragnatela.
A metà album converrebbe avere il numero di Nicholas Winding-Refn per chiamarlo e dargli un paio di consigli, perché dopo le selezioni eccellenti (tipo questa o questa o questa) finora ascoltate non inserire Pressure nella colonna sonora per il suo prossimo film sarebbe un passo falso. Nicholas, leggi Deer Waves? Ascolta me, dammi retta.
Solo due i featuring ma entrambi di rilievo: la poppeggiantissima Invisible che scintilla sotto i raggi del Sole cullata dall’avvolgente voce di Avalon Omega e al suo opposto, sia in posizione nella tracklist che come idea dietro la composizione, l’esperimento di 8 con Aaron Larcher in stile accensione della plancia di comando di una navicella spaziale.
Se un brano dal titolo Paralizzato apriva il disco, è Immobile (Still, per l’appunto, la titletrack) a chiuderlo con le stesse sensazioni, qui accentuate da una voce eccheggiante verso chissà dove.

Tracciate una linea, su un’estremità mettete la persona, sulla mediana mettete tutto ciò che la circonda (quello che vede e conosce), all’altra estremità mettete l’Universo. Ora cancellate quello che avete messo in mediana. Tutto quello che resta è Still.
Mica male, viene da dire.

Tracce consigliate: Pressure, Invisible.