Nell’universo sportivo si parla di role player quando si ha a che fare con un atleta che non si contraddistingue, ma che rappresenta una pedina essenziale all’interno di un sistema più ampio; il role player è in grado di svolgere una serie di compiti predefiniti che consentono alla squadra di esprimere il proprio gioco e, sovente, pone le basi affinché uno star player, il giocatore di spicco, sia messo nelle condizioni per eccellere. No, non siete finiti sull’Ultimo Uomo.
Prendiamo in prestito questa metafora per applicarla al mondo musicale, parlando di role player per riferirci ad un artista in grado di supportare la band e di fornire al leader la possibilità di splendere sotto ai riflettori.

C. J. Camerieri è l’esempio perfetto del role player: il suo nome potrebbe non dirvi nulla, e non dovrebbe dirvi nulla, proprio perché è sempre stato l’uomo dietro le quinte: se ha una fama, la deve alle collaborazioni che ha messo in piedi con musicisti di primissimo livello, quali Sufjan Stevens e Justin Vernon. Facciamo una doverosa precisazione: l’intro volutamente provocatoria è necessaria per presentare al meglio gli stimoli che hanno portato Camerieri a dar vita a CARM, il primo album del suo omonimo progetto solista.

Il polistrumentista statunitense, specializzato in tromba e corno, è un musicista di grandissima esperienza e talento, ma mai prima d’ora ha voluto ricoprire il ruolo di protagonista di un progetto: CARM nasce con l’ambizioso obiettivo di provare a capire fino a che limite ci si possa spingere nell’utilizzare i fiati come vero e proprio fulcro di un progetto musicale, sostituendo ove possibile gli elementi che siamo soliti associare ad un brano o ad un intero album, con le sue voci, percussioni, tastiere e strumenti a corda. Allo stesso tempo, CARM nasce dal desiderio di Camerieri di dar vita ad un disco che, secondo la sua opinione, i grandi trombettisti del passato avrebbero creato al giorno d’oggi.

Tutto stupendo. Tutto lodevole. Sulla carta. Nei fatti, CARM è molto meno rivoluzionario di quanto prometta. L’album si apre e si chiude con 2 feat: in apertura compare Sufjan Stevens e in chiusura Justin Vernon. È un po’ come dichiarare di voler fare il giro del mondo in bicicletta, ma poi usare le rotelle di sicurezza per paura di cadere. Ignorando il manifesto del progetto, l’album offre però dei momenti di pura delizia. Song of Trouble è stupefacente nella sua delicatezza e intimità: nell’intro, i corni si sovrappongono in un crescendo come voci in un coro, lasciando poi spazio al minimalismo del piano ovattato, suonato da Francis and the Lights, su cui si sorregge la voce di Sufjan. Se fosse stato pubblicato da Stevens stesso, si parlerebbe probabilmente del suo miglior brano dai tempi di Mystery Of Love. Il sample del piano di Song of Trouble viene utilizzato anche in Land, la traccia conclusiva del disco, che presenta una struttura simile a quella del brano di apertura, ma con un approccio più pieno, orchestrale, in cui c’è spazio anche per gli archi di yMusic. Land suona sempre familiare, tanto da poter essere credibile se spacciata per B-side dell’album Bon Iver, indebolendo ulteriormente il tentativo di Camerieri di creare qualcosa di veramente suo.

Oltre a Song of Trouble e Land, CARM contiene altri 3 ospiti: complessivamente, i feat costituiscono metà dell’intero disco. Already Gone, in cui cantano Georgia Hubley e Ira Kaplan degli Yo La Tengo, e Tapp, che vanta la presenza di Shara Nova, sono a loro volta due brani godibilissimi, che non offrono, tuttavia, alcunché di innovativo. Se Song of Trouble e Land sono caratterizzate da un’atmosfera sognante, per certi versi ottimista, in Already Gone e Tapp i fiati sono meno celebratori e più cupi, malinconici, in sintonia con le voci.

L’interpretazione in chiave elettronica della musica di Camerieri suona un po’ piatta in After Hours, un brano fin troppo essenziale, mentre il contributo dei Mouse on Mars, in Scarcely Out, offre un’alternativa sicuramente più credibile, con una sorta di free jazz puntellato da drum machine. Tra i brani restanti, spicca Nowhere, in cui si sente la forte ispirazione a Morricone.

CARM dà il suo meglio proprio nelle tracce che risultano coerenti con la visione di Camerieri, quella di un album in cui siano i fiati a primeggiare. Seppur brani di piacevolissimo ascolto, quelli cantati dai guest non rappresentano la vera essenza dell’album: è troppo forte il richiamo alla discografia degli ospiti stessi. In sostanza, nonostante le belle intenzioni, Camerieri ha deciso di fare il role player anche nel momento in cui avrebbe dovuto fare lo star player.

Tracce consigliate: Song of Trouble, Land, Tapp