Brian Wilson, amici. Brian Wilson.
Proprio lui, non un omonimo ma proprio il frontman della band pop meno apprezzata (per rapporto al valore effettivo) della storia della musica americana. Si sta parlando dei Beach Boys, chiaramente; se sapete di cosa sto parlando, non c’è motivo di continuare. Se non sapete di cosa sto parlando, sappiatelo e iniziate magari da qui.

Le carriere soliste dei Beach Boys sono spunto di interesse notevole: spiccano Pacific Ocean Blue di Dennis Wilson e il debutto in solitaria del fratello minore, Carl Wilson. E poi arriva Brian; unico dei tre fratelli fondatori ancora in vita, negli anni ha messo in piedi una discografia parallela di tutto rispetto, si veda anche solo il capitolo Smile, e a settantaquattro anni (per la serie, dischi di persone anziane) caccia fuori questo No Pier Pressure.

No Pier Pressure è intanto un album dalla gestazione complessa o, per meglio dire, un po’ sfigata: doveva partecipare Frank Ocean anzi no, doveva partecipare Lana del Rey che però ha deciso di fare la primadonna, doveva essere un album a quattro mani (circa) con Jeff Beck e invece niente.
This Beautiful Day è l’introduzione all’ascolto, una laconica intro cantata: prima che raggiunga il secondo minuto di durata, sfuma via e le si sostituiscono i Soft Cell. No fermi tutti non è uno scherzettone. Non sapevo chi fosse il signor Sebu Simonian, featuring di questo brano, ma se tali sono gli effetti che ha su un placido pensionato voglio che gli stia lontano e pure parecchio. Runaway Dancer è, mi vergogno a scriverlo, qualcosa che potremmo definire come… indietronica. Peccato che faccia accapponare la pelle, anche e soprattutto in questo specifico contesto.
Si torna a lidi più sicuri con What Ever Happened e On the Island, innocuo e pacioso pop californiano ma anche un po’ caraibico. Il secondo brano vede la presenza degli She & Him con una Zooey in discreto spolvero, a suo agio fra il fischiettare da passerotto in primavera e chitarre rilassate.Carina ma eccessivamente zuccherosa è Guess You Had to Be There con la sgnaccheretta country Kacey Musgraves. Un po’ meglio della media Saturday Night e soprattutto la ballatona pianistica e malinconica The Last Song; il resto, purtroppo, affoga tra il trascurabile e il brutto senza appello.

Dicevo della genesi sfigata che No Pier Pressure ha avuto. Ora tocca anche tornare a constatare che è un album decisamente mediocre, soprattutto se pensiamo alla mente geniale che vi è dietro; e che invece qui si eclissa un po’, un po’ troppo, vive per buona parte sugli ospiti (i quali peraltro non fanno sempre egregiamente il proprio lavoro). L’impressione finale è quella di un album che avrebbe potuto tranquillamente chiamarsi Brian Wilson & amici cantano una raccolta di b-side. Non esattamente entusiasmante.

Traccia consigliata: The Last Song.