Il ruffianesimo non è più una religione. Per chi lo professava con la musica è rimasto solo un bel disco d’esordio Red Yellow & Blue, che sette anni fa coronava i Born Ruffians come rockstar di nicchia nello scenario canadese.

La svolta frettolosa di Say It ha abbassato le aspettative di Birthmarks, e i tre anni di lavoro alle spalle non sono serviti alla riconferma. Tanto anonimo quanto superfluo, il terzo degli ex ruffiani rischia di peggiorare la credibilità di una band che non riesce ad essere a suo agio quanto ai tempi di Humming Bird, nonostante confezionino ancora canzoni ascoltabili.

Il tempo ha sottratto freschezza e immediatezza tipica del sound ruffiano, sporco e nullafacente agli esordi, artefatto e poco incisivo oggi, se non per qualche ricamo in stile Vampire Weekend che si fa piacere proprio perchè non ruffiano (Permanent Esitation, Cold Pop). Non vorrei essere querelato, ma sembra che i tre non siano molto daccordo con il paragone ad Ezra e soci. Che non si offendino se però un pezzo come Golden Promises sa di Fleet Foxes in uno spot Mulino Bianco.

Onestamente, la voce di Luke non può essere di ripiego ad un lavoro che nonostante gli intenti, resta senza stoffa. Dal cantautorale impegnato infestato di accorgimenti si passa ad un power pop che manca dell’autoironia stile Ok Go, cercando di prendersi sul serio con So Slow, pur non essendo mai stata una band impegnata.

Se avevano creato qualcosa questi tre ragazzacci, l’hanno distrutta. Farci ballare sarebbe stata una magra consolazione (almeno i Ra Ra Riot c’hanno provato), ma dovremo accontentarci di un ennesimo tentativo “normale” di rinnovamento che non va oltre il cerchio di quelle band, in parte accennate qui sopra, che da quando il brit rock ha abbassato i toni non sono più uscite di casa.

Birthmarks è una battuta sentita e risentita che non fa più ridere, perciò se volete, fate spazio ai sacerdoti di una religione a cui non crede più nessuno.

Tracce consigliate: Cold Pop