Pubblicare un album a soli diciannove anni è il sogno che ogni giovane musicista vorrebbe vedere realizzarsi. Intraprendere, inoltre, un tour negli Stati Uniti è forse il massimo a cui si possa di certo aspirare. Alice Bisi, in arte Birthh, è di gran lunga riuscita a superare questo traguardo, facendosi notare nella scena musicale nostrana ed estera.

Lasciatasi alle spalle il suo progetto folk Oh Alice, la Nostra ha deciso di intraprendere tutt’altra strada, mettendo da parte la chitarra acustica e abbandonandosi ad una profonda elettronica lofi portando atmosfere à la Daughter ad incontrarsi con cupi ritmi frammentati, dando vita a sonorità ambient particolarmente articolate.
I brani sono caratterizzati da una forte sensibilità e, in particolare, quattro di questi sono collegati dal tema: l’assenza di emozioni. Prelude for the Loveless, Interlude for the Lifeless, Interlude for the Hopeless e For the Heartless sono infatti tracce dedicate a chi, a causa delle proprie paure e dei propri sbagli, non riesce a provare più determinate sensazioni. Scavando a fondo, poi, capiamo di trovarci davanti ad un lavoro in gran parte autobiografico. Angoscia e rancore sono i protagonisti di Chlorine (“I thought love was enough / But truth is love is dead“) che, con i suoi cori à la James Blake, ci trascina in un ciclone inarrestabile di beat profondi e precisi.
Le percussioni, accompagnate da quarti scanditi, si fondono con armonie intricate per raggiungere un apice colmo di seconde voci, tastiere e sintetizzatori analogici, in grado di sciogliersi con delle semplici dissolvenze (Senses).
Ciò che rende il tutto ancora più singolare è la complessità dei brani paragonata alla chiarezza della voce, resa il più possibile reale. La semplicità di questa viene confrontata con la parte strumentale ottenendo un insieme profondo, capace di non risultare artificiale né troppo manipolato.
Unico brano che porta a storcere un po’ il naso è (Bahnhof), pezzo acustico che si collega al precedente progetto citato qui sopra. L’idea di inserire una traccia che stacchi dal resto del disco è più che giusta, anche perché si tratta di una canzone ben fatta, ma non è particolarmente gradevole la differenza tra i due generi che non fa godere al meglio la dolcezza del brano.

Born in the Woods, pur essendo frutto di una diciannovenne, è un ottimo debutto, un lavoro maturo, emotivo e personale che ha la capacità di trasmettere la forte sensibilità dell’artista a chiunque lo ascolti.

Tracce consigliate: Interlude for the Lifeless, Senses