Questo è un disco difficile, veramente difficile. È il classico album di fronte a cui le reazioni medie dei recensori sono due:
– Strada prima, la celebrazione della rinascita della musica d’autore italiana. Perché questa è musica alta, testi con strati e substrati di significati, densi e non subito accessibili a chiunque, arrangiamenti colti che rimandano alla storia della musica italiana e perché no, di quella classica, musica per gente dotata di una sensibilità superiore. Di solito per intraprendere questa strada bisogna sfoggiare una scrittura allo stesso modo criptica, piena di rimandi e citazioni, una recensione che potrebbe essere essa stessa il testo di una canzone dei Baustelle.
– Strada seconda, il becero rancore. Di fronte all’evidente e autocompiaciuta presunzione dei disco (nonché dei personaggi), si tira fuori tutto il peggio di sé e si scrive un lunghissima recensione flame in cui si arriva al limite della possibilità di venire querelati. Di solito questo approccio viene criticato con un argomento tipo “ecco, il solito frustrato che provoca gratuitamente solo per divertirsi e sfogare dietro l’anonimato di un nickname una vita grama di soddisfazioni”.
Io invece sono convinto che un risultato di secondo genere possa essere in questo caso causato si dalla frustrazione, ma da una frustrazione profonda che non parte dalla propria bassa autostima o dai propri rancori nei confronti nel mondo, bensì dallo stesso trovarsi faccia a faccia con queste 19 tracce. Qui cercherò di elencare alcune delle motivazioni che hanno contribuito a creare questa sensazione, senza la pretesa di essere esaustivo né metodico. Diciamo sono solo spunti, e ognuno si senta poi libero di aggiungere altre eventuali cause del proprio fastidio.
1) Un conto è ispirazione, un conto è il plagio esibito senza vergogna, anzi ricercato, che fa pensare alla presunzione di non voler neanche tributare, ma volersi mettere allo stesso livello dei propri miti. Di chi stiamo parlando? Di De Andrè. Non ci credete? Nessuno è lì, pronta a convincervi.
2) Forse è da stimare il coraggio, o forse sono io che non capisco. Ma per me fare un concept album sul tempo e sulla morte fa parte del peggior stereotipo in cui prima o poi ricade chiunque voglia farsi passare per “musicista impegnato”. E poi diciamocelo. Tutti sappiamo di dover morire. Tutti cerchiamo di fare i conti con questa fastidiosa faccenda. Nessuno vuole che per 19 canzoni qualcuno ce lo venga a ricordare. Se invece lo volete, ci sono supporti psicologici più adatti a voi che un disco dei Baustelle. O magari siete emo in cerca di evasioni più colte.
3) Monumentale. Cioè la legittimazione morale e sonora di tutte le maledette matricole di Brera che vanno a fare le foto alle lapidi nell’omonimo cimitero di Milano sentendosi artisti profondamente metafisici e con un tocco dark, che uno spera sempre che il cadavere di Munari esca fuori dalla sua tomba per dilaniare con dolore i loro corpi e le loro reflex.
4) Questo disco ha permesso che in una recensione io abbia potuto leggere la seguente frase: “Ecco che Fantasma è quindi la reiterata e vertiginosa visione di una catastrofe apocalittica che termina con la definitiva estinzione umana da questo nostro mondo di morte”.
5) A un certo punto dell’album mi sono trovato davanti all’effetto Massimo Boldi, quello che si innesca quando un non romano che vuole parlare in romano con risultati fra il goffo e il ridicolo. Taccia 16, Conta’ l’inverni (e il fatto che sia un tributo a Edoardo De Angelis non riduce l’effetto irritante del risultato).
6) Perché il disco del gruppo pop arrangiato con orchestra da 60 elementi in ogni traccia, oltre a non essere esattamente una novità, sa di altro mezzo spiccio per mostrarsi artista “alto” che veicola vera cultura.
7) Perché ok il lirismo, i differenti livelli di interpretazione, la cripticità, ma l’attacco del primo singolo del disco La Morte (Non Esiste Più)
“Nei tramonti dentro gli occhi tuoi e lungo i viali di Parigi o di Los Angeles ritrovo il mondo, nei fiori di campo e nei passeri se nevica, li vedo campare senza niente da mangiare, osservo Dio, lo lascio fare. Certe notti da nevrastenia da soffocare apro la finestra e volo via si fa per dire Come la ginestra nata sulla pietra lavica mi vedo lottare come mosca nel bicchiere eppure Dio, lo lascio fare.”
Io più provo a rileggerlo, e più mi sembra che non voglia dire un cazzo.
L’elenco, come detto, è parziale. Sicuramente ognuno di voi potrebbe trovare in questo disco un diverso motivo di frustrazione o fastidio (e se comunicarceli vi fa stare meglio, fate pure). Altri troveranno invece che questo in Italia nel 2013 sia un disco unico. E sono perfettamente d’accordo. Quello su cui probabilmente non ci troveremmo d’accordo è sul fatto se questo sia un bene o sia un male. Ma si sa, il mondo è bello perché è vario. Che sarà una banalità, ma di intellettualismi ostentati e di dubbia profondità ne ho ascoltati parecchi nell’ultima ora e 20. E quindi mi sembrava giunto il momento di dare pane al pane, e vino al vino.
Tracce consigliate: La Morte (Non Esiste Più)