Ragazzi ma vi ricordate l’Harlem Shake? Prendi gente mal vestita e falla “danzare” peggio su un drop e boom, ecco la ricetta per lo sdoganamento della trap in tutto il mondo. Ma quanti di quelli che, tre o quattro anni fa, hanno preso parte a quella piaga sociale ad uno di quei video virali sanno che il brano in questione è firmato da Baauer, producer di Philadelphia classe 1989? Magari non tutti, ma gli addetti ai lavori sì, lo sapevano, ed è proprio per questo che il suo debut Aa era particolarmente atteso.
Church, l’intro, sembra far presagire un’evoluzione. Un minuto e quarantaquattro secondi di soli pad atmosferici, ma tranquilli (o forse no) che ci pensa la successiva GoGo! a spaccare tutto: il drop più classico, le voci pitchate, l’808 spinta al limite e anche troppo. Allo stesso modo Good & Bad e Sow riprendono i mood delle precedenti; la prima è una breve parentesi senza ritmi, la seconda un delirio jungle che sembra voler lasciar da parte qualsiasi voglia di sperimentazione. Body e Pinku sono, invece e finalmente, una bella sorpresa perché fanno coesistere le due realtà di cui sopra: synth ambientali, vocine qui e là, percussioni dance-oriented, bei crescendo ma senza drop esasperati né bassi zarri. Dai 90 secondi di Church Reprise, brano in collaborazione con Rustie, mi sarei poi aspettato tutto tranne che un crescendo ambient e un assolo distorto, e forse è stato meglio così.
Parentesi separata, ma comunque simile a quanto esposto sopra, per quanto riguarda i pezzi col cantato. Ci sono innanzitutto Day One e Make It Bang, la prima un delirio grime su cui Novelist e Leikeli47 sputano barre trasportandoci direttamente in un club a South London, la seconda un volo di sola andata per la East Coast guidato da TT the Artist, ma talmente tamarro da risultare stucchevole nel giro di trenta secondi. C’è poi Way From Me, pezzo R&B più posato , con la collaborazione di Tirzah. Ci sono però anche Temple con MIA e G-Dragon e Kung Fu con Pusha T e Future, i due pezzi migliori del lavoro: il giusto compromesso tra divertimento e qualità. Nella prima MIA sforna un ritornello catchy su un ritmo tribal-orientale, nella seconda i due ospiti d’eccezione non deludono le aspettative rimanendo nel proprio territorio.
Aa è in definitiva un disco in bilico tra passato e futuro, un disco che non convince appieno ma che non è nemmeno da cestinare in toto. Quando i drop e i rimasugli dell’Harlem Shake fanno capolino tutto diventa troppo esasperato, troppo spinto, troppo pompato, troppo tutto. Quando però quel lato di Baauer viene lasciato un po’ in disparte, il talento del producer riesce ad emergere, senza comunque mai rinunciare al divertimento.
Ad ogni modo: consigliato a chi si vuol godere la primavera e l’estate, i primi caldi e il primo sole, a chi vuol ballare. Astenersi tristoni e morti-viventi.
Traccia consigliata: Kung Fu (feat. Pusha T & Future)