Maturità, rassegnazione ed epiloghi inevitabili: è un giusto mezzo tra il rabbioso e il malinconico il processo d’uscita dall’adolescenza di Adele Nigro – voce, chitarra e anima degli Any Other – che, archiviato il progetto Lovecats, si fa seguire da Marco Giudici al basso ed Erica Lonardi alla batteria con i quali esplora quel processo non più attraverso il folk, né prendendo in prestito dal cantautorato contemporaneo italiano, bensì da altri spazi geografici, stilistici e linguistici.

Silently. Quietly. Going Away. è allo stesso tempo estraniamento e chiarezza, così com’è maturo e poi genuinamente ingenuo, ispirato ma fondamentalmente onesto. Partiamo da qui: l’album riecheggia di americanità, non solo nell’accento ma soprattutto nelle intenzioni; questo significa seguire un filone prettamente femminile devoto al lo-fi e al noise pop – ma anche allo stile di scrittura – di artisti non necessariamente statunitensi come Joanna Gruesome, Courtney Barnett, Speedy Ortiz, Waxahatchee, Hop Along, ma significa anche farlo con inconfondibile personalità e, nel farlo, dare una piccola scossa a un genere che in Italia fatica a trovare un suo posto forse perché nessuno ha ancora fatto il passo più lungo della gamba.

Something apre il disco con un gioco di voci quasi da spoken word e con uno dei versi memorabili del disco: “I’m not interested anymore in feeling bad” è la colonna portante della poetica di Adele Nigro nonché di tutto l’album, che tratta i temi post-adolescenziali col giusto tono un po’ serio un po’ canzonatorio, così come in Gladly Farewell, in cui lo sforzo vocale ricorda quello di Jeff Mangum in Two-Headed Boy. Tra le ritmiche di brani come Blue Moon e Roger Roger, Commander, che si posizionano in quel famoso limbo tra indie rock, post-rock e emo, e His Era che ricorda quasi i Real Estate, gli Any Other chiudono il loro disco d’esordio con un terzetto d’eccezione: la rabbia sprigionata in Teenage accompagnata da un tappeto melodico cangiante, la dichiarazione d’amore spontanea di Sonnet #4 che ricorda a tratti l’Elliott Smith più combattivo, ed infine la netta divisione in due parti di To the Kino, Again, in cui ricompaiono note post-rock a chiudere l’album con quell’epilogo che avevamo già intuito in apertura: “silently, quietly, going away“.

Ottimo debutto, quello degli Any Other. Davvero sorprendente su più punti: partendo dalle ispirazioni che, sebbene innegabili, si fanno piacevolmente mescolare e travolgere da una personalità spiccata; continuando sulla coesione, la sensibilità e la maturità ingenua dei testi, che raccontano una storia a sé stante; e infine sull’insieme del prodotto finale, che riesce a tenersi costante nell’atmosfera ma continuamente vario negli intrecci musicali, rendendosi sempre piacevolmente decadente, ma mai morboso.

Tracce consigliate: Gladly Farewell, Something