Dicembre è iniziato e si comincia a tirare le somme di un anno. Mentre si tirano le somme spuntano fuori album già ascoltati, magari poco attentamente, e poi non approfonditi; poi li si riprende in mano e si apre un mondo.  R.I.P., terzo album del londinese Actress, è uno di questi. Era uscito ad aprile ma, complici un immondo paio di cuffie, l’avevo accantonato, salvo qualche pezzo che era finito in qualche playlist qua e là.

Sono bastati pochi altri ascolti a distanza di mesi (e con un supporto audio adeguato) a R.I.P., che, malgrado i 57 minuti, sembra durare un attimo una volta imparato a lascarsi stregare dai synth più bassi e cupi e ammaliare dagli arpeggiatori sognanti ed eterei, legato in un contrasto che accompagna per tutto il disco, creando un atmosfera impossibile da descrivere per quanto sia ora onirica (N.E.W.) ora arcana e brutale (Marble Plexus, Shadows From Tartarus), in un’elettronica che sfugge alle definizioni per quanto e varia: techno, ambient e house sono essenzialmente le protagoniste, mentre ogni tanto fanno capolino sensazioni lo-fi (Raven) o sporadici debiti al primo Burial (Caves Of Paradise).

Actress ha saputo creare un universo sonoro disorientante per chiunque fuorché lui ma che inevitabilmente sa avvolgere l’ascoltatore in un labirinto sonoro surreale e unico nel suo genere.