Mentre tutto pare abbia smesso di girare, nell’ultimo paio di mesi non si sono fermate le pubblicazioni dei nuovi album – e menomale!
Abbiamo deciso di raccogliere qualche dischetto italiano uscito recentemente per dirvi cosa ne pensiamo. Qui trovate i nostri pareri sugli ultimi lavori di Gigante, San Diego, Pufuleti, Jesse The Faccio, Priestess, Rareș, Enea Pascal, Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam e Tommy Toxxic.
Partiamo!
Gigante – Buonanotte
Buonanotte è il secondo disco di Gigante, ex Moustache Prawn, ed è un album elettrizzante. Il folk stile Beirut dell’esordio lascia spazio a un synthpop che strizza l’occhio a Tame Impala e M83, mentre in Italia i paragoni più vicini sono quelli con le ultime incarnazioni di Colapesce e Baustelle. È elettrizzante, questo Buonanotte, soprattutto perché mantiene sempre viva l’attenzione: i 9 brani si sviluppano in poco meno di mezz’ora e riescono a confermare tutte le capacità compositive e liriche di Gigante, che già avevamo potuto intuire in Himalaya. L’incedere di Vene riporta alla mente Lonerism, Gomma Americana è degna del migliore Giorgio Poi, mentre la strumentale Cous Cous rispolvera pure un po’ di french touch, tanto per non farci mancare nulla. Il cantato di Gigante è destinato per sempre a dividere, con questa pronuncia stiracchiata e languida che per forza di cose non piacerà a tutti (mi ci è voluto un po’ per apprezzarla), ma nel complesso questo disco è una piccola perla di pop all’italiana.
Voto: 7.0/10 – Sebastiano Orgnacco
San Diego – ù
Se ti piace il genere, San Diego è il tuo santino da portafoglio. Vintage synth & early 80’s bagnati con un po’ di Jerry Calà in versione Cala Corvino. Un mare chillwave, anche nell’estetica, dove sguazzare ore e ore con capriole storte in acqua tra flanger ed echi. E poco importa se con le liriche non si spinge oltre i cliché da “estate italiana”. Ma a tre anni dall’esordio le sensazioni di Disco sembrano svanite. Il sophomore dell’artista romano è, infatti, un mal riuscito tentativo di uscire dall’empasse pericolosa di chi fa musica di genere, specie quando si inoltra sui sentieri già battuti con successo da Cosmo. Più dance che vapor, più regresso che evoluzione. Parliamo di roba che (forse) aveva senso 4 anni fa e che oggi fa divertire solo i ritardatari cronici. Ma i passi indietro contenutistici si rivelano minuto dopo minuto con una serie di citazioni che rovinano anche quel poco di buono che c’è: “Un po’ di figa qua”, “Questa è benzina / io mi do fuoco”, “Duemila credici” e tutte quelle cose che speravi fossero sparite nel buio del web. Più che un disco risulta un meme che non fa più ridere.
Voto: 4.5/10 – Giuseppe Mangiameli
Pufuleti – Catarsi Aiwa Maxibon
Pufuleti, l’Uomo Dei Pilastri, è la nuova faccia della sperimentazione del rap nostrano che negli anni stava andando sempre più a nascondersi nel marasma di emergenti della nuova scena. Per tagliare la testa al toro (e schiarire le idee a chi non lo conoscesse), al rapper siculo-tedesco è meglio non attribuire alcuna scena. Il collettivo del quale fa parte, Misto Mame, ci regala il termine New Weird Italia che sembra rappresentare i più spiccati attributi della musica dell’artista e credo sia giusto rimanere su questi termini per ora. Nato dalle ceneri del tedesco Joe Space, e rinforzato da un disco di debutto da cui è stato impossibile non rimanerne affascinati, Catarsi Aiwa Maxibon è l’evoluzione più chiara che abbiamo dell’artista sino ad oggi, nonché il disco che ci sta facendo parlare così tanto del fenomeno ora tra noi. Come nel debut, la musicalità di Catarsi Aiwa Maxibon tocca fugacemente l’east side rap per trovarsi, quasi assurdamente, negli outro della prima Arca o nelle parti più eteree di Music Has The Right To Children. A parole, se in flow cantilenato o in pura recitazione, la visione sulla cultura siciliana riesce a scaturire l’eccitazione per qualcosa di così primordiale e quasi appartenente, la parte tedesca invece incita sempre curiosaggine, questa più intensa come cupa in Tumbulata, qua lascia che la meridionalità venga espressa maggiormente e che essa si vesta di fuliggine per l’occasione. Un debutto durato due anni che grida ancora alla novità, non possiamo che consigliarvi di scoprire Pufuleti.
Voto: 7.4/10 – Claudio Carboni
Priestess – Rendez-vous
Se si parla di R&B oggi italiano è impossibile non nominare uno degli esponenti più forti che attualmente calca i palchi nel nostro paese: Priestess. Nel suo nuovo EP, l’artista pugliese di Tanta Roba ha deciso di adottare nuovi ritmi rispetto ai lavori precedenti, grazie anche alle produzioni di gente come Ombra e Polezsky (spesso dietro ai beats di MadMan e Gemitaiz) e ai feat con Elodie, Myss Keta e Gemitaiz tastando territori su cui non si era mai mossa e che, grazie alla sua bravura, non si sono rivelati scivolosi. Questo EP sembra essere la chiara occasione di arrivare al pubblico mainstream dato anche il tema attorno al quale ruotano tutte e sei le tracce, l’amore, e la decisione di spingere forte sulle sonorità dance che, combinate assieme alla sua voce graffiante, creano un mix notevole. I testi sono semplici, non particolarmente profondi e sono la parte più debole dell’EP; ovviamente non si pretendevano necessariamente barre d’impatto, ma se ci fosse stata qualche sfumatura del genere l’intero progetto sarebbe stato d’un altro livello, vista anche la bravura nella scrittura dimostrata nel disco precedente, Brava (2019). Speciale menzione a Brigitte, pezzo con Myss Keta, dove la combinazione delle due voci funziona benissimo.
Voto: 6.9/10 – Davide Deleonardis
Jesse The Faccio – Verde
Si ascolta Verde e subito la mente va a finire a un’allegra festicciola in garage a base di pogo, sudore e bicchieri di plastica, una festa che purtroppo non è mai stata organizzata, ma alla quale certamente a suonare ci sarebbe stato Jesse The Faccio. Chitarrine lo-fi, di un punk smorzato, riempiono tutta la struttura del disco, che idealmente è diviso in due parti. C’è uno strumentale, VERDE PT.2, che fa da spartiacque a primi brani che ruotano attorno al tema che il colore di questo album simboleggia: la speranza. Nella seconda parte sboccia il meglio del disco: il tema cede il passo al no sense, la musica si rilassa e noi ci immergiamo in un umorismo sognante e malinconico tipico del lo-fi nord americano. Quella di Jesse The Faccio è musica italiana, sponda adriatica; ma lontanissima dalle suggestioni canoniche del cantautorato italiano – e reinterpretate dall’itpop. In questa scelta di sincerità, c’è il miglior tema di Verde.
Voto: 6.3/10 – Luca Montesi
Rareș – Curriculum Vitae
Negli ultimi anni, soprattutto in Italia, è impazzata un po’ la moda di questo cantautorato spezzato, sghembo, con l’andazzo soul e un po’ di pasta elettronica che rende tutto più armonioso. Ci ha provato Generic Animal e gli è andata alla grande, l’ultimo album di Birthh è talmente riuscito che gioca in un campionato a parte, e oggi nell’arena arriva Rareș, occhiali tondi e voce profonda. Curriculum Vitae è il suo primo album solista, dopo un’adolescenza passata a suonare punk, e musicalmente suona come detto sopra (e suona davvero bene). Il problema con Rareș arriva con la voce (bella ma che spesso mastica parole e le rende incomprensibili) e soprattutto con i testi, ridotti talmente all’osso da trovarsi sospesi tra il genio e la banalità, le frasi lasciate a metà che dovrebbero essere evocative ma rimangono solo un grosso punto di domanda. È un peccato, perché musicalmente il livello è altissimo, ma i testi tagliano talmente tanto da non riuscire nemmeno a evocare delle sensazioni vaghe. E purtroppo il risultato è un gran casino.
Voto: 4.8/10 – Sebastiano Orgnacco
Enea Pascal – Good Travaj
Decadente, scintillante e pacchianissimo, slavo fino al midollo. Così si presenta il primo EP di Enea Pascal, uscito per la stessa Iveatronic inaugurata dal suo primo singolo, Golden Bocia. Good Travaj è una breve immersione in un mondo aggressivo, ruvido, metallico e inospitale, venti minuti di dance industrial cattiva come solo l’Est Europa può essere. Enea Pascal abbandona i ritmi morbidi anni ’80 dei primi pezzi e preme a fondo sull’acceleratore, senza però mai sbandare, portandoci un lavoro che non sfigurerebbe in un club sotterraneo di Berlino. Good Travaj è una prova di muscoli ben calibrata e altrettanto ben riuscita, una piccola gemma scorrevole, interessante e soprattutto tanto coinvolgente. Consigliatissimo.
Voto: 7.3/10 – Raimondo Vanitelli
Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam – Vedremo
Luca Fois, un tempo Kaizer oggi voce dei Quercia, ma anche Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam. Con quest’ultimo progetto è (ri)conosciuto come precursore in Italia della nuova moda dell’hip hop lofi (ChilledCow e compagnia cantante), recentemente vilipeso dai regazzini con la voce del Premier Conte come se fosse robetta del tipo “questo video è diventato virale”. Vedremo è il suo primo album completamente cantato, tenuto nel cassetto per molto tempo ed uscito al momento giusto. Siamo davanti ad un concentrato dal colore torbido di parole e pensieri, a tratti sconnessi, con i quali mettersi a nudo. Flussi di coscienza pigri sulla metrica ed il timbro della Dopa e di Gruff, per affrontare i non detti ed i sentimenti a metà di quest’epoca. Passa abilmente tra Portishead ed old school con ritmi sincopati e leggerissime chitarre che creano atmosfere post rock spacca-pietre. Il Vietnam interiore di ognuno non si affida a nessuno stile, ma si muove seguendo solo la matrice emozionale più intima.
Voto: 6.8/10 Giuseppe Mangiameli
Tommy Toxxic – La danza delle streghe
La danza delle streghe di Tommy Toxxic è un album che non fa rivoluzioni, nemmeno si accoda alle mode redditizie del rap attuale, ma punta ad essere un punto di raccordo. Proprio come i lavori solisti di Joe Scacchi e del collettivo Wing Klan, questa nuova esperienza di Tommy Toxxic mantiene la componente truce del rap romano, la salda indissolubilmente alla generazione trap e si aggancia infine ai più recenti esiti del SoundCloud rap. Le produzioni di Nikeninja si muovono tra questi tre vertici, e così, in maniera ancor più indistinta, si muove l’immaginazione di Tommy. La sua voce rimanda in continuazione a queste tre epoche della scrittura rap della scena romana: il flow, le parole e le immagini sono attuali, eppure vivono in un’atmosfera scura e metallica vicina a quella tipica del TruceKlan. A metà tra l’archeologia e l’avanguardia, sta qui La danza delle streghe.
Voto: 6.5/10 – Luca Montesi
Non abbiamo finito…
Per concludere, qui vi lasciamo le recensioni di altri album italiani usciti nello stesso periodo, se volete recuperarle: dalla strada incomprensibile di Francesca Michielin [FEAT (stato di natura)] alla altrettanto incomprensibile scelta di tempo dei Subsonica [Mentale Strumentale], passando per le invece ottime prove di Colombre [Corallo] e Marco Giudici [Stupide cose di enorme importanza].
Insomma, in attesa di sgasare con la macchina al primo concerto disponibile, robetta da ascoltare non ci manca.