David Bowie è morto. Non c’è altro modo di dirlo. È morto.

Non c’è perifrasi che tenga, eufemismo che regga: David è morto.

Non sono solito unirmi ai commiati pubblici: alle condoglianze mediatiche ho sempre preferito la discrezione, il cauto riserbo, il rispetto per l’estremo addio.
Oggi faccio un’eccezione. Doverosa, necessaria, dolorosa. Dolorosissima.
La faccio per David, scomparso a 69 anni dopo aver combattuto col cancro per diversi mesi.

David Bowie è entrato nella mia vita diversi anni fa. Credo sette, forse otto anni fa (al momento in cui scrivo ho 26 anni).
Ci è entrato come ci entra un amore: in maniera totalizzante, inaspettata, dirompente, disarmante.
È stato un colpo di fulmine, un innamoramento, un incontro tra anime. Un riconoscermi nell’altro.
Ricordo ancora l’esatto momento, il preciso istante in cui ho pensato: “Sei tu”.
Stavo ascoltando Hunky Dory, al solito modo: canzone dopo canzone, molto attentamente, leggendo tutti i testi, appuntandomi ogni riferimento nascosto, attento a qualsiasi passaggio lirico-musicale.
Per la precisione, stavo ascoltando Quicksand, quando ho sentito la sua voce cantare:

I’m not a prophet
or a stone age man
Just a mortal
With the potential of a superman
I’m Living on
I’m tethered to the logic
of homo sapien
can’t take my eyes from the great salvation
of bullshit faith
[.]
i’m sinking in the quicksand
of my thought
and i ain’t got the power anymore

Una folgorazione immediata, un incendio interiore. Per rendervi l’idea, posso citarvi solo San Paolo, convertitosi sulla strada per Damasco.
Un colpo di fulmine, appunto, che, però, passo dopo passo, disco dopo disco, libro dopo libro, biografia dopo biografia, si è trasformato in qualcosa di più maturo, si è evoluto in quella che potremmo definire una pura venerazione per il Bowie compositore, per il Bowie cantante, per il David padre, marito, compagno.
E Ziggy Stardust, la Trilogia Berlinese, Los Angeles, Berlino, Lou Reed, Iggy PopBriano Eno et cetera et cetera.

Il colpo di fulmine è diventata la relazione più importante della mia vita.

Ho imparato ad apprezzarne ogni sfumatura, ogni travestimento, a studiarne ogni posa, ad immedesimarmi nelle sue paure, nei suoi momenti più bui, nelle sue notti insonni, nei suoi fantasmi, negli spettri che gli assediavano la mente.
Ho amato i suoi radiosi, fantastici sorrisi. La sua gentilezza, la simpatia, l’umiltà.

Mi ha insegnato la potenza delle parole, la forza della verità, mi ha insegnato molto su cosa voglia dire essere un umano.
E so che potranno sembrarvi parole vuote e/o infarcite di retorica, ma vi chiedo di prenderle per buone: l’impatto di Bowie sulla mia vita è stato formativo, assoluto, monopolizzante.

Monopolio. Non avrei potuto scegliere parola migliore. La mia vita è stata ed è esattamente de-finita da Bowie.
Bowie-centrica si può dire? Ho sentito e continuo a sentire la necessità di riempire la mia vita con suoi pezzi: album, t-shirt celebrative, poster, libri, spille, tatuaggi, foto, dvd. Qualsiasi cosa.
Ho riempito i miei spazi, fisici e mentali, con David Bowie.
Ho riempito le mie solitudini con David Bowie, ho riempito i miei drammi psicologici con David Bowie, ho riempito la mia paura per la morte con David Bowie. Mi sono aggrappato a David Bowie in ogni momento duro della mia vita.
In fondo a qualsiasi tunnel c’era il suo sguardo ad aspettarmi, in fondo a qualsiasi scurissimo pozzo mentale ho trovato le sue braccia a sorreggermi, la sua voce a farmi forza.
Allo stesso modo ho condito ogni momento felice della mia vita con la sua contagiosa allegria, con la sua determinata voglia di brillare, con la sua umanissima empatia. Con la sua musica, la migliore che orecchio umano abbia mai potuto ascoltare.

Per tutte queste ragioni, sono qui a buttare giù queste righe. E forse lo faccio perché sono un egoista: lo faccio perché in questo momento ho bisogno di esorcizzare il dolore, ho bisogno di allontanarlo, di alleviare questo pugnale conficcato nella testa. È infantile, ma in questo momento ho davvero bisogno di credere che non sia vero.
Purtroppo invece lo è. Non è tornato su Marte, non era un alieno, nessuno è venuto a riprenderselo.
David è morto. È morto il migliore uomo.

Con Bowie se ne sta letteralmente andando una parte di me. Una consistente parte di me è morta con lui.
Con tutte le sofferenze del caso.

E non c’è tributo o ringraziamento possibile. Il più grosso tributo alla tua figura sei tu stesso, David.