Populous - photo by Charlie DavoliPh. by Charlie Davoli

Populous è un nome che ultimamente sta rimbalzando tantissimo di qua e di là nella scena elettronica italiana, e non solo. Night Safari, suo ultimo album, è stato infatti acclamato ovunque portandogli le attenzioni di, tra gli altri, Thump, Allmusic e Pitchfork (questa la sua reazione al mio entusiasmo per quest’ultima notizia: “Sto stendendo la lavatrice e ho appena realizzato di aver lavato il passaporto. Non riesco a non bestemmiare neppure il giorno che esco su Pitchfork!”), sino alla consacrazione finale su Alt-Gegia.
Con Andrea ho fatto una chiacchierata ampia, informale, cordiale, e questo qui sotto è il risultato.


DW: Partiamo con una domanda d’archivio: da quanti anni fai musica? La data di release più indietro nel tempo che sono riuscito a trovare nel web è il 2002 (quando io avevo 11 anni e non oso nemmeno provare a ricordare che musica ascoltassi).

Populous: Hai detto bene. Nel 2002 credo di aver fatto uscire il mio primo pezzo ufficiale, ma avevo cominciato a fare musica al liceo, dunque nel lontanissimo 1996. Credo.

DW: E cosa ha spinto il giovane Andrea a produrre le prime cose, e poi a buttarsi nell’industria musicale? Ricordo che una volta mi hai detto che la musica elettronica nasce anche, e forse fondamentalmente, da un sentimento di solitudine. È stato questo il motivo scatenante? Vale ancora oggi questo pensiero?

P: Quando ho cominciato a fare musica ero in pieno delirio rock (e tutto quello che ci girava attorno, tipo il noise, il post-rock, l’indie etc). Volevo far parte di una band ma faticavo a trovare gente che avesse i miei stessi gusti e interessi. È stato fondamentalmente questo a spingermi a comprare una workstation, una di quelle tastiere del cazzo tipo pianobar. Ma io la usavo come sequencer per programmare tutto quello che gli altri avrebbero dovuto suonare per me. Ahahaha che suoni di merda che aveva! Anche se ora credo che parte di quel sound di plastica sia tornato di moda.

DW: Senza voler tirar fuori discussioni riguardo la situazione italiana attuale che ormai è ben nota, si può dire che il contesto cittadino-culturale (provinciale?) in cui sei cresciuto sia stato se vogliamo una “condanna” forse solo all’inizio, ma col senno di poi anche uno stimolo a migliorare personalmente, non trovi?
E, sempre collegato al tema geografico, di conseguenza, hai mai pensato di andare stabilmente a Londra, Berlino e simili?

P: Il fatto di essere fuori dal mondo ma, allo stesso tempo, connesso con tutto quello che m’interessava (label, siti musicali etc, perché ok che son vecchio ma internet esisteva già) mi ha fatto sicuramente bene. Ovviamente ho pensato diverse volte di trasferirmi ed ho anche passato dei periodi più o meno lunghi in vari posti del nord Italia. Certo l’estero sarebbe stato l’ideale per quello che faccio, visto che in italia tutto arriva (se va bene) con un anno di ritardo. Ad ogni modo io sto trovando la mia dimensione nella “valigia aperta”. Ti ricordi Johnny Depp in Chocolat? Arrivava con la sua chitarrina gipsy del cazzo a sconvolgere gli equilibri dei paeselli. Mi ci vedi? Ahaha, io no. Però prima o poi incontrerò la mia Juliette Binoche.

DW: Con il moniker di Populous quale è stato il tuo percorso? I primi lavori suonano in bilico tra la folktronica miscelata con strutture più tipicamente hiphop. Il tutto con un risultato finale più vicino al pop che ai due filoni di (apparente) partenza. Partendo da qui, come sei arrivato a creare il sound di Night Safari che, ormai possiamo dirlo, è ormai tuo e riconoscibile?

P: Quipo, il primo disco, è di 12 anni fa. Adesso che lo scrivo mi sembra quasi assurdo, ma è veramente passato tanto tempo. Sono successe un mucchio di cose in questi anni, alcune delle quali mi hanno fatto riconsiderare l’importanza della musica, declassandola a favore di cose più importanti (come la salute, l’amore). Non sono mai stato un invasato delle filosofie orientali, lo zen e tutte queste stronzate da hippy, ma di sicuro ora ho un approccio alla vita (e di conseguenza alla musica), molto più spirituale. Ecco il desiderio di scavare moooolto indietro nel tempo, alla ricerca di suoni antichi, vissuti, e melodie ancestrali.

DW: Quindi la world music di Night Safari e in generale del Populous anni 10 è filtrata dall’esperienza personale. Molto bella come cosa. Hai anche viaggiato nei posti lontani che la tua musica richiama alla mente? Sei entrato direttamente in contatto con queste realtà che ti affascinano a livello sonoro e (presumo) non solo, oppure è tutta una grande Sehnsucht nonché la prima cosa da spuntare dalla wishlist della vita?

P: Anni fa ho comprato i dischi che Madlib ha fatto col moniker di Beat Konducta, una sorta di studio sonoro e antropologico dei vari posti in cui si trovava a comprara vagonate di vinili di musica indigena. Il capitolo indiano era il mio preferito. Un altro disco che mi ha molto ispirato è stato Chinoiseries di Onra. Lui fa questo viaggio in Cina alla scoperta delle sue radici genealogiche e compra l’impossibile ai mercatini, riversando poi tutti i samples in quei due dischi. Io purtroppo i viaggi me li sono fatti tutti nella mia testa. Inoltre Night Safari non ha una geolocalizzazione definita, ma attinge ai paesi e alle popolazioni più lontane: si va dal Giappone al Brasile, dall’India all’Africa.

DW: Il comunicato stampa di Night Safari dice che “segna il ritorno di Populous, a distanza di sei anni da Drown In Basic“. Nel mentre so che hai messo le mani in pasta in diversi progetti paralleli, LIFE & LIMB e Girl With The Gun. Come vivi i progetti paralleli? Nascono da un’urgenza di esternare consapevolmente qualcosa che male si concilierebbe con Populous, oppure li vedi più come uno sperimentare, per portare all’esterno e in altre realtà Populous e, ovviamente in senso inverso, per attingere qualcosa di importante da portare poi sulla strada principale? Poi è ovvio che sei sempre Andrea, ma l’approccio alla musica è per te sempre lo stesso oppure cambia?

P: I miei progetti paralleli li ho visti più come una sorta di declinazione dello stesso verbo. Credo che in fondo si capisca che dietro ci fosse la mia sensibilità artistica, il mio mondo. Certo in entrambi i casi erano progetti che condividevo con altre persone, per cui non spettava a me prendere le decisioni ma è stato un continuo confronto. Non ci sono mai state tensioni o divergenze artistiche. Se (ad esempio) Girl With The Gun non esiste più è per via del corso delle cose, della vita, del lavoro extramusicale etc.

DW: E LIFE & LIMB invece? È in stand-by a tempo indeterminato?

P: Michael lavora, ha una moglie e la musica per lui è un hobby. Avevo una certa urgenza di far uscire della roba nuova e con lui questa cosa non sarebbe potuta succedere.

DW: Al di là dei progetti secondari più o meno stabili, guardando la tracklist di Night Safari è comunque evidente che apprezzi collaborare con altri artisti e che il progetto Populous non lo concepisci come un cerchio totalmente chiuso attorno a te. È una cosa che apprezzo in generale, e che ho apprezzato ancor di più ascoltando il tuo ultimo disco. Dal cantato di Cuushe in Fall a quello di Iokoi in Honey, passando per la pazzissima Quad Boogie feat Digi G’Alessio (presente ben due volte anche con il moniker Clap! Clap!), e poi ancora Dj Khalab e Giorgio Tuma. Qualche aneddoto riguardo la “scelta” di questi artisti? Come hai avuto modo di conoscerli, oppure se le tracce sono state partorite insieme ai diretti interessati o se le hai registrate e hai pensato “ok, qui ci vuole lui/lei per il tocco finale”?

P: Io ADORO collaborare con amici e artisti che stimo. É una cosa che mi arricchisce tutte le volte. A parte Cuushe (che non conoscevo fino al featuring) gli altri son tutti amici di vecchia data. Il modus operandi è stato molto semplice: appena le idee che buttavo giù prendevano una certa piega provavo a girarle agli artisti che reputavo più adatti a lavorarci su. La cosa divertente è che non ci sono stati mai piani-b: tutte le collabo sono avvenute con un buona la prima. Ti piace quest’idea? Sì. Vuoi metterci le mani? Sì. Pezzo chiuso la settimana dopo. É successo con tutti così, Cuushe inclusa.


DW: Premetto che il mondo della musica per film mi affascina tantissimo. Come è stato fare le musiche per Una Domenica Notte? È stata la prima volta che hai dovuto plasmare la tua arte a favore di video?

P: In realtà no. Avevo avuto delle piccole esperienze come sound-designer (che è una cosa che mi piace non poco). Certo musicare un intero film è tutta un’altra storia. Da un punto di vista artistico mi sono trovato molto bene, perché il regista Giuseppe Marco Albano aveva fortemente voluto me e dunque si fidava ciecamente. Da un punto di vista prettamente lavorativo ti posso dire che è stata una delle peggiori (se non la peggiore) esperienza della mia vita. I produttori del film erano/sono due coglioni con i quali sono ancora in causa. Se non ci fosse stata la Picicca di Brunori a salvare il culo sarebbe stato un totale disastro. Ma son cose che capitano. Peccato che a me era la seconda volta che succedeva col cinema. Anni fa invece l’inculata l’ho presa dalla Fandango. Comincio a lavorare alle musiche per un film della Comencini (non ricordo quale delle due) perchè volevano un suono elettronico e poi dopo quasi un mese cambiano e chiamano un tizio che faceva musica etnica. Nessuno mi ha pagato un cazzo, neppure le spese dei biglietti per andare a Roma e fare il primo meeting. Forse ho la faccia da coglione, non lo so.

DW: Qui ci sta un bel no comment grosso come una casa.
Torniamo a Night Safari. È ovvio già dal titolo, ma durante l’ascolto la tua musica ricrea immagini evocative davvero molto forti. Che importanza ha per te l’aspetto visual? Ma non solo nella musica, intendo anche nella vita in generale.

P: Io non mi sento un vero musicista, anche perché non credo di esserlo. Mi sento più una sorta di direttore artistico della mia vita, che è fatta di tante cose, non solo di “suoni”. Ci tengo un sacco a tutto ciò che mi riguarda, ma senza esserne schiavo e senza alcuna attitudine maniacale. Mi piace fare ricerca nel campo della moda, mi piace seguire le ultime tendenze in fatto di grafica così come reputo fondamentale il videoclip come strumento promozionale. E’ tutto collegato. Ecco perchè non mi va di trascurare nessun aspetto. Certe volte mi è capitato di incontrare alcuni dei miei artisti preferiti e non puoi capire la delusione nello scoprire che si vestivano male. Lo so che per molti sarò anche un coglione a dire certe cose, però per me è veramente inconcepibile fare musica meravigliosa per poi vestirsi di merda.

DW: Ahahahah. Però è vero, cioè capisco cosa intendi, penso sia tutto riconducibile alla cura delle cose, della musica e poi di se stessi.
La copertina del disco è ripresa da Rousseau il Doganiere e si ricollega ovviamente alla tua attenzione per l’immagine in tutto e per tutto a cui si accennava sopra. Perché la scelta e chi l’ha fatta?

P: Non c’è stato nessun collegamento premeditato a Rousseau. Quando ancora lavoravo al disco ho cominciato anche a pensare a che direzione dare all’aspetto grafico. Ho visto i lavori di Kae ed ho subito pensato che lei fosse perfetta per quello che avevo in mente. Le ho scritto, ci siamo incontrati e le ho spiegato il concept del disco. Poco dopo mi ha mandato un’illustrazione che poi sarebbe diventata la copertina. Le ho risposto subito: “È lei!”. Mancava ancora del lavoro ma ero così contento che ad un certo punto è stata la copertina stessa a suggerirmi alcune scelte sonore.

DW: Domanda “tecnica”: come dove quando in quanto tempo hai registrato night safari?

P: Night safari l’ho cominciato e finito in 4/5/6 mesi. Alla fine della scorsa estate avevo il concept in testa e qualche demo su Ableton. Poi con l’arrivo dell’inverno ci ho dato sotto e ho finito tutto in primavera.
Tutto il processo di (chiamiamolo) “scrittura” è avvenuto su un portatile, in giro, a casa, in treno, ovunque. Quasi tutte le collaborazioni sono avvenute via mail. Io mandavo una bozza e poi avanti e indietro finché il pezzo non convinceva tutti al 100%. Poi chiaro che la fase finale del mix è stata fatta in studio (al Sudestudio di Lecce) per avere un ascolto ottimale. Così come il mastering è stato fatto in uno studio di San Francisco che si chiama Audibleoddities.

DW: Hai suonato tantissime volte dal vivo nell’ultimo periodo e continui a farlo. Hai anche partecipato allo Spring Attitude e al Robot. Ti toccano le domande sul live:
1) Prima domandina generale. Come imposti e gestisci il set?

2) Come vivi la realtà dei festival? Il tuo approccio è diverso e la vivi diversamente rispetto a una data “personale”?

3) Come trovi la risposta del pubblico ai tuoi live? Per farti capire, sono stato mesi fa al concerto dei Darkside e poi a quello dei Moderat, per dirne due con una risonanza importante, e ho notato che la gente non era interessata all’ascolto “attento”, ma proprio mai, non gliene poteva fregar di meno, per quanto ci fossero passaggi fondamentali e bellissimi per la riuscita della performance totale (banalmente code allungate o transizioni da una traccia a un’altra). In poche parole: erano venuti lì per i 4/4 e la cassa dritta. Cosa ne pensi? Capita spesso anche a te?

P: 1) Il live è una prosecuzione del disco. Non è completamente diverso ma non è neppure una riproduzione. C’è un computer sul palco e quando vedi un computer già sai che molte cose saranno molto simili (se non uguali) al disco. I Moderat hanno questi tavolini strategici che nascondo i tre laptop. Io me ne fotto e oltre al laptop suono le maracas. Scherzo! Porto con me Andrea Rizzo che è un batterista professionista ma, siccome è anche uno dei miei migliori amici, si presta a suonare in piedi le percussioni e a ballare con me.

2) Nei festival è sempre un’incognita. Non è molto facile trovare la giusta collocazione. A volte può capitare di suonare in sale molto piccole, oppure se si suona sul main stage lo si fa in orari estremi. Per cui non sempre è facile. A volte però l’allineamento astrale è dalla tua parte e tutto va alla grande. Ma ripeto, finchè non hai uno scheduling sei sempre con l’ansia. Naturalmente io preferisco i posti più piccoli e raccolti. Anzi, preferisco le location inusuali e bizzare. L’importante è che ci siano i sub!!

3) Succede SEMPRE anche a me. Ma proprio SEMPRE! La gente è lì per la droga. Ecco perchè tirano tanto gli artisti della scena berlinese. Ma la cosa peggiore è che ho come l’impressione che ormai nomi tipo Moderat, Villalobos, Kalkbrenner (ma anche Darkside, Aphex Twin, Four Tet per citare gente non tedesca) siano in realtà dei brand, dei marchi. Non degli artisti. Delle correnti. Per cui la gente segue la moda del nome, brand, ma non se ne fotte nulla di cosa ci sia dietro. Non sto dicendo che siano dei cattivi artisti, anzi. Sto solo facendo un ragionamento molto ampio, cercando di entrare nella mente dei ragazzini. Se vado a sentire i Moderat mi sento parte di una controcultura, quella che ama l’elettronica, quella che si fa di md. Però fa nulla se poi non so chi cazzo sia Andrew Weatherall o Raymond Scott. In generale trovo moltissima superficialità. Poca voglia di andare oltre. Lo abbiamo capito tutti che con una cassa in 4 è facile ballare. Però esiste anche altro. C’è vita dopo la techno.

DW: Riprendendo il discorso riguardante l’ascolto della musica in generale. Io mi incazzo come una biscia quando vedo i primi pezzi degli album su Soundcloud che hanno un tot di ascolti e poi vanno sempre decrescendo. Che ne pensi? Pareri e osservazioni a riguardo?

P: Nei tempi dei social è veramente difficile catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Le motivazioni credo siano banali: siamo talmente bombardati di info, video, suoni che in un attimo passi da una pagina all’altra. Basta il minimo input a farti passare altrove. Scorri il tuo wall, trovi un’altra cosa che t’incuriosisce, metti in stop il player di Soundcloud e fai partire un video su Vimeo. 9 su 10 non riprenderai più la musica che stavi ascoltando prima. La cosa assurda è che magari ti piaceva pure! C’è poco da fare, è tutto più veloce, soglia d’attenzione compresa.

DW: È un po’ di anni che pare in voga il detto “a volte ritornano”, vedi Boards of Canada, My Bloody Valentine e, ultimo quest’anno, Aphex Twin. Cosa ne pensi del suo disco? E dei ritorni in generale dopo così tanti anni? Hanno senso?

P: Non sono contrario ai ritorni, ma il disco di Aphex Twin, per esempio, non aggiunge nulla alla sua discografia. Se lo ha fatto solo per terminare il contratto con la Warp saranno cazzi suoi, a me comunque non piace. Dunque non critico i ritorni ma bado bene a farmi prendere troppo dall’entusiasmo.

DW: Basta fare i seri. È ora del botta e risposta.

DW: Scegli 3 dischi
P: Siamese Dream degli Smashing Pumpkins, Dummy dei Portishead, Music Has the Right to the Children dei Boards Of Canada.

DW: 3 film.
P: Le avventure aquatiche di Steve Zissou, Magnolia, Mysterious Skin.

DW: 3 serie tv.
P: Will & Grace, Breaking Bad, Looking.

DW: 3 concerti.
P: Grizzly Bear a Parigi, Phoenix a Barcellona, Mykki Blanco a Lecce.

DW: Se populous non avesse fatto il musicista?
P: Gestore di una trattoria/ristorante.

DW: La cosa più assurda che hai campionato?
P: Io che imito Tarzan sulle scale di un condominio.

DW: Un consiglio a chi inizia a fare musica?
P: Osare. Osare sempre!

DW: Cosa ti colpisce di più riguardando indietro all’Andrea Mangia che muoveva i primi passi nel mondo della musica?
P:Il fatto che producevo musica in maniera disincantata, senza avere la minima idea di cosa fosse l’industria discografica.

DW: Le soddisfazioni più grandi che ti ha dato e ti sta dando la tua carriera?
P: Le soddisfazioni più grandi sono sempre quelle che si spera di raggiungere in futuro.

È ormai evidente che Populous non faccia parte di quella folta schiera di producer che ama vestirsi di anonimato per aumentare l’hype attorno a sé. Populous è, prima di tutto, Andrea Mangia. La sua umanità contagia di forza le sue melodie. E noi non possiamo fare altro se non augurargli tutto il meglio che si merita, e ascoltarci, ancora, il bellissimo Night Safari.