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È un qualsiasi giorno di pioggia a Milano. Alla fine di una stancante giornata lavorativa, in un ufficio nei dintorni di Sant’Ambrogio, ho il piacere di incontrare Corrado Grilli, in arte Mecna. Avevamo deciso di contattarlo dalla redazione per sapere di più sul suo secondo album, Laska, in uscita il 27 gennaio e scambiare qualche chiacchiera al riguardo. Reduce del successo di Disco Inverno, il suo album di esordio del 2012 che lo ha consacrato alle folle, la curiosità di ascoltare il suo secondo capitolo è molta.

La prima cosa che noto quando lo vedo è che è davvero alto, quanto il livello della sua musica che è un infuso empatico di beat e parole, frutto di un’assidua ricerca di stile e raffinatezza. Quello che racconta nei suoi testi sono istantanee della vita di un ragazzo normale che ci tiene a rimanere distinto, originale e semplice senza confondersi con i cliché dei luoghi comuni del rap.

E quando gli chiedo come abbia fatto a riuscire nei suoi intenti da artista, la risposta che mi dà è semplice e concisa: provandoci.

DW: Oggi piove e fa freddo, sei contento?

M: (Sorride, ndr.) Clima perfetto anche se oggi il brutto tempo mi ha preso in pieno, sono vittima di me stesso: arrivando qui a piedi ho preso tantissima acqua.

DW: Non ti stufa che ormai la tua persona sia associata a questa immagine fredda e invernale? Non ti sei stancato di sentire sempre le solite domande al riguardo?

M: Assolutamente no, io sono inversamente metereopatico. Con il sole mi imparanoio, mi viene l’ansia, mi agito. Ho cercato anche di analizzare la cosa e credo sia un mutamento che ho avuto in età adulta perché da bambino ero terrorizzato da piogge, tuoni e trombe d’aria, invece adesso mi entusiasmo al solo pensiero.

DW: La domanda nasce dalla curiosità di capire il significato della parola Laska, il nome del tuo nuovo album che a una prima impressione, rimanda al freddo, all’Alaska, uno stato freddissimo. Dicci di più sulle origini e sul significato di questo titolo…

M: Volevo dare un’idea semplice che mi rappresentasse, dunque qualcosa che avesse a che fare al freddo, come era stato per Disco Inverno. La parola Laska si presta molto bene. Se dovessi identificare la scelta con un paesaggio immaginario ti citerei uno dei miei film preferiti, Fargodei fratelli Cohen: una landa bianca, immensa, ghiacciata. Non è un caso che per la scritta Laska mi sono vagamente ispirato al lettering delle grafiche della serie televisiva prodotta da FX, che poi altro non sarebbe che un nome ricamato su lana. Ci tenevo particolarmente a questa rappresentazione grafica del ricamato, infatti più in là mi piacerebbe realizzare del merchandising ufficiale sul genere ma al momento è solo un’idea.

DW: L’artwork come è stato concepito?

M: Tempo fa vidi in rete dei lavori realizzati per Vice da Pietro Cocco, un fotografo italiano trapiantato a New York, così l’ho contattato per lavorare insieme sulla copertina di Laska. Dopo qualche prova siamo giunti all’idea di voler rappresentare qualcosa di veramente glaciale e allo stesso tempo metafisico. Dunque ci siamo ritrovati con questa rosa rossa racchiusa in un blocco di ghiaccio che la protegge dalle intemperie del mondo esterno (gli oggetti che le ruotano intorno) ma che prima o poi si scioglierà.

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 DW: E una volta sciolto che succederà?

M: (Sorride, ndr.) Se ve lo dicessi chiuderei la visione nel mio concetto, invece mi piacerebbe lasciare aperta a voi l’interpretazione del seguito della storia. Al di là di questo per me era importante riuscire a realizzare una grafica il più possibile internazionale, un artwork che potesse piacere sia in Italia che all’estero. In questo tipo di cose mi piace osare e non aver paura di correre il rischio che un’idea non possa piacere e spero che questo modo di pormi possa essere gradito a chi mi segue. È un po’ come educare i propri fan, e come il discorso vale per la grafica, vale anche per i brani di questo secondo album, che presentano toni e sonorità diverse rispetto al primo. L’importante è provarci.

DW: Per l’appunto, questo è il tuo secondo disco e, come sappiamo, il secondo album è sempre pericoloso perché può sorprendere, come confermare o stroncare i risultati dell’esordio. Per te questo secondo capitolo cosa rappresenta? Ai tempi di Disco Inverno, avevi dichiarato che quello era un album di presentazione e affermazione in qualità di rapper, abbastanza tradizionale, ma che avresti avuto modo di sperimentare in un secondo momento. Quel momento si chiama Laska? Cosa ne pensi a lavoro finito?

M: Sono molto, molto, molto contento del lavoro che è uscito fuori e credo tanto nel potenziale che ha. È cambiata la consapevolezza con cui ho creato il disco, sia per quanto riguarda la scrittura dei testi, sia per quanto riguarda l’aspetto produttivo dei brani. Rispetto a Disco Inverno, in Laska è tutto più a fuoco, dal modo di fare autocelebrazione alle storie che racconto, alle paranoie che esprimo. Sul tiro musicale mi sono lasciato ispirare da quello che ascoltavo mentre lo scrivevo e faccio riferimento a tutta una serie di sonorità che spaziano in lungo e in largo, non solo in ambito rap. Penso al trip-hop, alla post-dubstep (James Blake è uno dei miei artisti preferiti) al future garage, situazioni in cui i produttori musicali sono i protagonisti. Nel frattempo è uscito il terzo album di Drake, Nothing Was The Same che ha significato tanto per me così come mi ha sorpreso inaspettatamente il mixtape Day Before Rodeo di Travi$ Scott, senza dimenticare Yeezus di Kanye West. Mi sono lasciato intrigare dai suoni di queste produzioni con l’intenzione di volerli riproporre nell’album e secondo me l’esperimento è riuscito, ora vedremo come verrà accolto da critica e fan.

DW: Hai citato situazioni musicali in cui, come hai detto, i protagonisti sono i produttori che compongono la musica. Nei credits di Laska sono presenti ben dieci produttori diversi per le tredici tracce contenuti nel disco. Non è un caso?

M: Esatto, non è un caso, ma per quanto le produzioni siano diverse tra loro, il risultato uscito è omogeneo e segue un percorso ben definito dalla prima all’ultima canzone. Ti dirò di più: esattamente l’ultimo pezzo Favole, prodotto da Night Skinny, apre a nuovi orizzonti stilistici che potrebbero essere buoni spunti di sonorità per un ipotetico futuro sonoro da calcare.

DW: Il primo singolo è Non Dovrei Essere Qui, in cui si percepisce il tuo spaesamento nell’attuale panorama del rap. Se ti fa stare così male allora perché continui a starci in mezzo? Penso a quello che dici nel pezzo.

M: In questi anni buoni per il mercato del rap italiano, di cui io per primo ne ho felicemente giovato, si sono create situazioni in cui molta gente si avvicina a noi artisti semplicemente perché facciamo rap, guardando soltanto la scatola ma non il contenuto e questa cosa mi crea disagio. Sono anni che mi sbatto dietro alla mia musica per cercare di stravolgere i concetti, offrire novità a chi ascolta, cercare di essere il più possibile originale e non la copia di, fortificando il mio stile. Correre il rischio di finire in un calderone in cui io vengo associato a qualcun’altro che rappresenta l’antitesi al mio modo di concepire la musica, porta a chiedermi se io sia nel posto giusto. Il rap da sempre parla anche di autocelebrazione, fa parte del gioco e se continuo a giocare è perché questo è il mio modo di esprimere la diversità e l’originalità del mio stile rispetto ad altri, continuare a farlo mi gasa. Nel pezzo dico che provo disagio a stare con gli altri rapper a dire cose da rapper: nella mia ambizione del quotidiano ho la voglia di voler rimanere una persona normale, uscire con i miei amici di sempre e fare cose semplici, senza troppi vincoli formali legati alle situazioni dell’immaginario rap.

DW: Parlando del video, che ancora una volta è girato da SÄMEN (v. Mecna – Kryptonite ft. Ghemon), come è nata l’idea della del soggetto? Dove l’avete girato?

M: È un video particolare, anche qui mi piacerebbe lasciare libera interpretazione a chi lo vede. Metaforicamente rappresenta il processo che c’è dietro alla lavorazione di un disco secondo le sensazioni che ho provato in prima persona. Il barbone che sale sulla mia macchina rappresenta il materiale grezzo di partenza quando si inizia a lavorare su un album. Attraverso modifiche e migliorie, il materiale viene raffinato, infatti nel video il barbone si ripulisce. Avviene così uno scambio tra le parti: ripulendosi il barbone, ovvero il disco, mi sporco io, perché ho talmente tanta voglia di rendere bello il disco da svuotarmi, perdermi, non avere più sonno,  fino a ritrovarmi logoro per aver fatto qualcosa che alla fine viaggia da sola e viaggia grazie a me. Infatti alla fine io scendo dalla macchina vestito da barbone e quello che in origine era il barbone, ripulitosi nel frattempo, rimane alla guida verso l’infinto. In realtà questa cosa non ce la siamo mai detta con i registi però è la mia interpretazione.

DW: Ho notato che i titoli di coda che aprono il video sono i credits del film Mamma Ho Perso L’Aereo: io un’idea me la sono fatta del perché di questa citazione, ma raccontaci tu.

M: L’idea di inserire i credits di Mamma Ho Perso L’Aereo in realtà non ha un grande perché: avevamo avuto l’idea di fare iniziare il video con una fine e introdurre dei titoli di coda ci piaceva come soluzione. Invece di inventarli, ho scelto quelli di Mamma Ho Perso L’Aereo che è un altro grande film che amo.

DW: Pensa che io avevo immaginato che il motivo della citazione fosse dovuto al fatto che quasi tutto il cast di Mamma Ho Perso L’Aereo dopo quel grande successo, sono finiti nel dimenticatoio. Un po’ come grandi artisti che oggi sulla linea cronologica della musica, durano il tempo di un album, se non addirittura di un singolo e scompaiono. Che ne pensi di questo rischio?

M: Questo rischio c’è e si corre ma sono fermamente convinto che quello che sto facendo da anni insieme alla mia famiglia Macro Beats e Unlimited Struggle, sia il modo giusto di preservare nella memoria delle persone il nostro contributo alla musica, sperando di lasciare un segno. Poi che sia piccolo o enorme, questo si vedrà soltanto con il tempo.

DW: Per te Macro Beats e Unlimited Struggle cosa rappresentano?

M: Macro Marco, Ghemon, Kiave, Hyst sono prima di tutto amici che ho iniziato a frequentare quando mi trasferii da Foggia a Roma. Passo dopo passo insieme, si è instaurato anche il legame artistico che oggi ci lega e che ci unisce nella label Macro Beats. Musicalmente sia la musica targata Macro Beats che quella targata Unlmited Struggle, rappresentano qualcosa di simile ai grandi classici, le basi. Da ragazzino ascoltavo Mistaman e per me le sue canzoni erano hit che prima da ascoltatore, poi da amico e collaboratore, amavo e amo tutt’oggi. La stessa cosa vale con Ghemon e gli altri. Quando penso all’affezione che ho nei confronti della musica in generale, la prima roba che metto e che rimane nel mio bagaglio è questa e non me ne rimane altra. Abbiamo avuto modo di avere dimostrazioni d’affetto corali da parte del pubblico in occasioni speciali come la Blue Struggle Night dell’anno scorso ai Magazzini Generali di Milano in cui eravamo tutti presenti così come con la vittoria al Red Bull Music Culture Clash con Macro Beats lo scorso maggio sempre a Milano. In quei momenti senti che quello che stai facendo è qualcosa di buono, non solo per te che lo fai ma anche per chi ti ascolta.

DW: Sei figlio dei nostri tempi, ovvero di chi tra i 20 e i 30 anni nello zaino porta punti di domanda, di chi si insegue per rincorrersi: un consiglio da dare a chi ha la tua stessa fame di realizzarsi e dimostrare di potercela fare? Parlo in generale nella vita, non solo per chi fa musica…

M: Io ho sempre lavorato sia da artista, sia da grafico e il mio percorso passo dopo passo si è costruito. Se uno crede in quello che fa e si dà fiducia, riesce in quello che fa, a patto che quello che fa sia sensato in funzione delle proprie abilità.

DW: Oggi la musica vive di web: tu come vivi il tuo avatar da social, ti risulta naturale e spontaneo interagire con questi mezzi, ormai essenziali per l’immagine e il marketing di un artista?

M: Sì, il monitoraggio mi risulta abbastanza spontaneo e l’adattarmi a queste nuove “regole del gioco” non mi pesa, forse perché lavoro nella comunicazione e mi viene facile . Non lo trovo un difetto, penso che siano dei mezzi attuali in continua evoluzione, anzi il fatto che un artista possa ritrovarsi più esposto rispetto a dieci anni fa tra interazioni e commenti, mi piace.

DW: A proposito di  promozione e pubblicità, ci parli della tua collaborazione con la Sammontana, per la pubblicità estiva del Cono 5 Stelle con le esilaranti parodie che ne sono uscite fuori. Come te la sei vissuta questa storia?

M: (Sorride, ndr.) L’unica cosa che mi sento di dire al riguardo è che forse non si è capito il gioco di antitesi tra il fatto che io odio l’inverno e la promozione di un gelato per l’estate.

https://www.youtube.com/watch?v=DBXTIMEfLQw

DW: Il 26 parte il tour degli instore, sei carico? Come è il rapporto con i fan? Hai qualche aneddoto curioso da raccontare su qualcosa che ti è successo in merito?

M: Diciamo che sarà il mio primo tour ufficiale di instore, visto che in passato ne ho fatti di diversi ma non “in serie” come le tappe che ci saranno da qui ai prossimi giorni. Prima parlavamo dei social e del fatto che mi viene naturale interagire tramite il web: ecco, diciamo che al contrario, la parte meno bella, che mi crea un po’ di imbarazzo è il confronto diretto con i fan, che da una parte mi lusinga ed è la cosa più bella del mondo, dall’altra fare foto insieme e firmare album mi imbarazza quando non c’è un minimo confronto o scambio di parole. Un aneddoto al riguardo: una volta a Foggia, ero di fretta e stavo camminando velocemente, avevo le cuffie, quando ad un certo punto una ragazza con il fiatone mi ferma (mi stava ricorrendo da due isolati) e senza dirmi niente, prende il cellulare e si scatta un selfie con me senza neanche dirmi un “ciao” o un “grande” o un “ci facciamo una foto?”. Ecco queste cose non le capisco molto.

DW: Invece sai anticiparci qualcosa sulle date di un ipotetico tour promozionale di Laska, se ci sono già date e come sarà impostato il live?

M: Certo, una prima tranche di date tra marzo e aprile, in tutta Italia, ma al momento non posso dire di più.

DW: Passiamo ai tuoi ascolti: il migliore rapper del momento secondo te?

M: Per quanto riguarda il rap internazionale il preferito del momento è Joey Baddas. In italia, Johnny Marsiglia, anzi ti dico che io vorrei essere lui.

DW: Come già detto, Laska vede la creme de la creme di collaborazioni con giovani e storici produttori promettenti. Un artista o un produttore straniero con cui sogneresti di collaborare?

M: Il primo che mi viene in mente: Cashmere Cat, adoro lui e altri produttori come Lido.

DW: Invece sei mai stato sfiorato dall’idea di andare a registrare o a scrivere fuori dall’Italia, cosa che ultimamente è sempre più in voga tra gli artisti italiani? Se sì, hai un posto che preferisci?

M: In realtà, il disco l’ho inziato a scrivere all’estero in un paesino sperduto della Norvegia, vicino Fetsund, durante le vacanze estive, in un cottage insieme a un amico. Siamo stati lì una settimana, ci eravamo portati computer, scheda audio, chitarra ed è uscita più di qualche idea confluita poi in Laska. Sicuramente se me lo proponessero mi piacerebbe farla come esperienza ma restando in Europa. Non avrei particolare esigenze di andare, che ne so, a New York. Una Parigi, una Londra, andrebbero più che bene.

DW: Domanda sui tuoi trascorsi nel rap legandoli al presente: a quando nuovo materiale targato Microphones Killarz, la tua prima crew?

L’idea c’è da sempre. Io vivevo con Lustro fino a poco tempo fa, Nasty è disperso per la Puglia ma ci sentiamo sempre. Da qui a quando e se succederà non saprei dirti.

DW: Domanda conforme: te lo vedrai Sanremo?

M:  Penso di sì, l’ho seguito l’ultima volta due anni fa perchè partecipava il mio caro amico Andrea Nardinocchi. Al di là di questo, non mi vergogno di dire che a differenza di molti miei coetanei, vedo la tv. Penso che sia importante per rendersi conto di quello che ci succede intorno e di dove determinate cose vogliano arrivare. Spesso si hanno strane sorprese.

DW: L’intervista è finita, se dovessi racchiudere la tua musica in una parola, quale sarebbe?

M:Fredda.

DW: Grande Mecna, ci vediamo sotto al palco!