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James Vincent McMorrow è un musicista irlandese che produce suoni in uno spazio ovattato e distorto. Il suo sound sa essere morbido e accogliente come le braccia di un amante e misteriosamente inquieto come un lago silenzioso. Oggi ci parla di sé attraverso il travolgente picchiare di una cascata.

DW: Raccontaci di come tutto ha avuto inizio. Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla composizione musicale?

JV: Arriva quel momento in cui lasci la scuola per andare al college e possibilmente studiare qualcosa di cui realmente poco t’importa. Ecco, arrivò quel momento anche per me. Io però decisi di trovare un escamotage per eludere la situazione: invece di andare a lezione, aspettavo che i miei fossero a lavoro per poi tornare a casa. Stavo seduto nel soggiorno tutta la mattina cantando e suonando il piano. Feci ciò finche non mi espulsero dal college. Così, non dovetti più fingere e potei dedicarmi totalmente alla musica.
Non ho scritto canzoni finché non ho sentito che avessi qualcosa da dire. Non ho cantato a squarcia gola finché non ho sentito che la voce fosse quella che io volessi.

DW: Incominciare a comporre è stato un impulso istintivo o avevi già ben in mente il progetto di produrre in maniera “professionale”?

JV: Come ho detto sopra, non avrei mai voluto fare qualcos’altro, stavo sicuramente seguendo il mio istinto. Penso fosse più un credere in se stessi. Non ho mai pensato che non avrebbe funzionato, ho sempre creduto che lo scrivere canzoni ce l’avessi dentro di me. Ho sempre pensato che la mia musica fosse diversa da quella delle altre persone, perché l’ho sempre pensata diversamente. C’era una ragione per la quale credevo funzionasse e quella ragione era che la mia stessa vita era destinata alla musica.
La parola (l’aggettivo) professionale è divertente. Ho conosciuto musicisti di professione, che con la loro professionalità (o limitatezza) non erano in grado di produrre nulla di emozionante. E conosco invece persone che si svegliano alle due del pomeriggio, fumano un po’ d’erba e in quindici minuti scrivono la migliore canzone che tu probabilmente sentirai in quell’anno.

DW: Ho letto in un’intervista che tu ami che sia il 2014. Ami il progresso della tecnologia e t’infastidisci quando i musicisti, ascoltando musica anni ’60, cercano di ricrearla: “quelle persone non stavano cercando di ricreare la musica degli anni ‘20. Perché farlo adesso?”. Secondo te, c’è un modo per definire il sound e l’industria musicale del 2014? Dove sta la rottura col passato?

JV: Penso stessi alludendo alla loro volontà di molti musicisti di guardare indietro ad ogni costo, fraintendendo però la musica del momento. Ero abituato ad ascoltare Pet Sounds ma non ho mai pensato di voler provare a ricreare lo stesso sound. Ho giusto pensato holy shit questo ragazzo ha trovato il modo di far stare insieme tutti questi suoni in un solo disco! E tutto ciò in maniera terribilmente rivoluzionaria considerando le tecnologie dell’epoca. Sono sicuro che se Brian Wilson avesse prodotto quella traccia adesso nel 2014, supererebbe i limiti dell’immaginabile.
Non capisco tutto questo voler semplicemente imitare le tecniche dal passato: il passato va aggiornato, non ci si può cristallizzare, le vecchie tecniche vanno rese moderne, come Mark Ronson ha fatto con la Amy Records.

DW: Nella stessa intervista hai anche dichiarato (riguardo al tuo album del 2014 “Post Tropical”):“ho voluto fare qualcosa che fosse bello secondo qualsiasi accezione”. Che cos’è qualcosa di bello nella tua opinione? Quali sono le tue fonti d’ispirazione quando componi una nuova traccia?

JV: Chuck Close diceva che l’ispirazione è per i dilettanti, pensiero che mi fa sorridere, ma che condivido pienamente. Se hai bisogno di guardare un bell’albero, o un tramonto, per trovare l’ispirazione di cui hai bisogno per scrivere una canzone, o dipingere un quadro, bene, io penso che tu lo stia facendo nel modo sbagliato. Io mi sveglio la mattina e penso alla musica, io giro per la mia città e canto sottovoce, io sto sempre lavorando su qualcosa.
Perciò tutto è bellissimo per me, tutto trova la sua ragione nel mio lavoro, ma mai in maniere consapevole.

DW: Disegni e grafiche sembrano una parte quasi complementare del tuo lavoro. Pensi che la musica sia una forma d’arte fatta per catturare tutti e 5 i sensi?

JV: Decisamente vero per la gran parte dei sensi… credo che sia difficile assaggiare la musica! Ho capito ciò che intendi e lo condivido. In Post Tropical potevo “vedere” dentro tutte le canzoni: suonarle live diventava un modo per creare un mondo visual che facesse emergere le immagini che io vedevo dentro ai brani. Ci sono un sacco di band che ho visto (e ascoltato) negli ultimi anni – Animal Collective, Wilco, Grizzly Bear – che posseggono questa forte componente visual, spesso incredibile e impressionante fatta di immagini audaci e strutture fisiche sul palco. Credo che ciò elevi la musica a un altro livello. Naturalmente è una spesa e certamente non rende la vita più facile da un punto di vista logistico, ma il risultato finale è un live show che non è soltanto qualcosa che si ascolta, è qualcosa che è possibile guardare dispiegarsi dinnanzi ai propri occhi affascinati.

DW: Che parte del tuo lavoro ti piace di più: la “fase di costruzione” in studio o la performance live?

JV: Sono due fasi diametralmente opposte ed è una risposta veramente diplomatica dire che mi piacciono entrambe in egual modo, ma è vero. Comporre tracce è un processo incredibilmente stressante e la parte divertente per me accade solamente alla fine. Faccio talmente tanto per le mie canzoni da essere totalmente immerso nel processo fino allo strenuo delle forze, perciò è difficile tornare indietro e godersi il lavoro mentre si è ancora in fase di produzione. Ma il risultato finale è sempre un bagno di euforia, e questa mi basta come ricompensa. Suonando live direi che mi godo il processo molto di più: il palco è davvero un luogo rassicurante per me, lì riesco ad astrarmi dalla realtà quasi completamente. Leggi la risposta alle canzoni che tu stesso hai composto direttamente negli occhi del pubblico ed è una sensazione indescrivibile: in un certo senso, crea dipendenza.

DW: Quali sono gli strumenti che preferisci usare nel tuo “processo di creazione”?

JV: Il mio laptop e la mia tastiera usb: sarei completamente perso senza il mio computer! Ogni idea che ho viene messa lì dentro, ogni cosa viene fatta quando siamo in tour.
Non mi sono mai seduto con la chitarra in mano e scritto una canzone. Né dinanzi ad un pianoforte.
Tutto comincia con un loop o con un’idea nel mio computer.

DW: Quali sono le tre parole che utilizzeresti per definire il tuo sound?

JV: James. Vincent. McMorrow. Ho dovuto unire insieme il Mc e il Morrow per farne una parola, che in un certo senso è come barare.

DW: Con quali artisti ti piacerebbe collaborare?

JV: Penso sia davvero un cliché dire che mi piacerebbe lavorare con Pharrell, ma se i Neptunes fossero mai intenzionati a tornare insieme in una stanza allora vorrei essere lì per quello. Mi piacerebbe anche lavorare con D’Angelo, il modo in cui modula la voce è qualcosa che non ho mai visto né sentito.

DW: Come pensi che il tuo sound si stia evolvendo?

JV: É difficile dire come il mio sound stia evolvendo, perché quando ci sei dentro, non te ne accorgi. L’evoluzione è un processo lento. Mi guardo dietro e realizzo quante cose siano cambiate. Ovviamente sono consapevole di stare maturando come musicista, come uno scrittore di canzoni. Sento di star scrivendo le canzoni più dirette che abbia mai realizzato. Ho perso il bisogno di avvolgere le mie parole strette dentro quella densa coltre di distorsioni, apprezzandone invece la vivida intensità. È un cambiamento gigantesco per me, ma è successo dopo due album e anni di apprendimento. La mia voce si sta rinforzando, sono diventato ancora più ambizioso. Queste sono tutte parti di un’evoluzione molto naturale.

DW: Puoi darci qualche dritta riguardo ai tuoi progetti futuri?

JV: Certamente! Recentemente sto producendo alcune canzoni inedite, qualcosa di nuovo per me e incredibilmente eccitante da fare. Sono stato tutta l’estate in giro per il tour di Post Tropical e per quanto ciò mi abbia divertito da morire, ho voluto evitare di continuare a rimandare la produzione di queste nuove tracce. Ho deciso così di gestire parallelamente produzione e tour e dare al pubblico quel tocco di freschezza propagato dai nuovi pezzi. Credo che questi nuovi brani indichino la strada che ho scelto di seguire.
Sto anche lavorando su alcuni dischi di altri artisti. Insomma, molte cose belle che sentirete (in parte) verso la seconda metà dell’anno. Sto lavorando quanto più posso fisicamente, tutto è veramente fresco e molto divertente adesso e ho voglia di darci dentro ancora e ancora.

DW: Per concludere, come suona una cascata?

JV: Come l’intro a The Lakes del mio ultimo disco, ecco come suona una cascata a mio parere. O al massimo è come una cascata suonerebbe se una cascata fossero 18 mandolini che suonano note discordanti e in dissonanza, filtrate attraverso 3 differenti impostazioni di delay.