Dopo l’uscita del nuovo disco Forse Non È La Felicità il 3 febbraio, per i Fast Animals and Slow Kids marzo è stato il mese d’inaugurazione del tour e di sold out vibranti – come ormai da tradizione.

Il 31 marzo, a Torino, dopo il soundcheck per il live all’Hiroshima Mon Amour, abbiamo incontrato Aimone Romizi, Alessio Mingoli, Jacopo Gigliotti e Alessandro Guercini, che nel pieno dell’adrenalina pre-concerto producevano una base synth-dub-jazz suonando in quattro un organetto a muro e mi hanno offerto una Tuborg ed uno spritz.

DW: Avete cominciato suonando davanti a quattro gatti, nella ghiaia. Alla luce dei ripetuti sold out degli ultimi due anni, cosa pensate sia cambiato della vostra resa dal vivo rispetto ai tour precedenti e che ricordi avete delle esibizioni a bassissima affluenza?

Alessio: Siamo in crescita continua, la presa male dipendeva dal fatto che la gente non ha cominciato subito a cantare i nostri pezzi ai concerti.

Aimone: Il principio è che lo svuotone è dietro l’angolo. Ad Alaska c’erano alcune date con cinque persone, non c’avevano voglia. Si migliora sempre, fare live è la base per migliorare; di live in live, anche i peggiori. Fanno bene alla band. Tre persone?: devi riuscire a convincerle, devi comunicargli qualcosa. Abbiamo suonato con tante band, anche questo è importante perché vedi gli headliner che suonano in un certo modo, scopri i loro segreti (amplificatori, effetti, pedalini per la voce). C’è stato un miglioramento fisiologico perché imparavamo a stare su un palco. Non “sentirti imparato” mai. I primi quattro pezzi mi sento sempre un coglione di merda. Poi prendi il tempo, il ritmo del concerto.

Alessio: Una volta in un ristorante di carne, abbiamo iniziato con tre persone che erano lì per caso, poi sono andati via ed il nostro concerto è stato solo per noi. Alessandro ha fatto per scherzo un riff di Ligabue e ce l’hanno richiesto. Una tragedia.

Aimone: Stavamo suonando in acustico con gli strumenti elettrici. Questo mangiava la crema catalana e ogni volta che cantavo mi sembrava pensasse:“Dio cane.. ma guarda che band di merda sto guardando..”. Ah e poi abbiamo dormito in quattro sullo stesso letto. Una volta abbiamo suonato e hanno chiuso il locale, abbiamo dormito lì dentro. Eravamo degli yesman, era un passaparola, date per zero euro. Dormiamo dove vuoi te, suoniamo con quello che vuoi te.

Jacopo: Una volta eravamo il main stage di un festival trash, c’erano gruppi che facevano ridere, tipo Gem Boy, ma peggio.. Ricordo di aver pensato: quindi noi siamo così? Headliner: capi dei coglioni?

Aimone: Il cesso della nostra camera dava sul dj, vado al bagno e lo vedo, lui mi guarda e ho dovuto spegnere la luce. Il concerto di merda c’è sempre, dipende come ti ci rapporti, noi non lo accettiamo mai quindi anche se è veramente merda facciamo in modo che diverta almeno noi. Abbiamo coniato il concetto di SCUDO FASK!: se tutto non funziona almeno noi ridiamo, abbiamo sopportato di tutto. Smontiamo e carichiamo noi. Sperimentiamo, viviamo in libertà. Senza divismi.

DW: Come avete strutturato la scaletta adesso che avete quattro dischi all’attivo? Avete riarrangiato qualche pezzo di Cavalli?

Aimone: È il tour di Questa non è la felicità, quindi suoniamo il nuovo disco. Gli altri sono i pezzi irrinunciabili, ci sono un sacco di amici e gente che vuole sentirli e noi non vogliamo fare i radical chic, le nostre canzoni le suoniamo e dovete pure cantarle!

Alessio: Abbiamo dato grande importanza al nuovo disco. Questa scaletta dura tantissimo, è difficile inserire molti altri pezzi. Prima provavamo a fare Copernico, Organi, Gusto, non venivano male ma c’entravano poco col resto, e la gente li seguiva poco.

Aimone: Ho rivisto da poco il concerto per vincere l’Arezzo Wave, eravamo imbarazzanti ma di una violenza umana meravigliosa. Dopo le cose cambiano, cambia il modo di schiaffeggiare. Cavalli partiva da un’urgenza, ma è importante preservare quello slancio, e se cambia cambio io. Devo guardarmi attorno.

DW: Tentiamo un confronto della produzione attuale con il primo album: Forse convieni con me che la banalità di un testo d’amore è solo paragonabile a quella di un testo politico” (testo di Lei, ndr.) era ammettere che chiedersi di che cosa parlare nei testi fosse più importante che dispensare verità soggettive. Questo è un cioccolatino lo trovo geniale, ci vedo molti ribaltamenti di senso. Cavalli è l’album più distante dagli altri tre, e sembrate spesso parlarne con un po’ di vergogna, come se preferiste non averlo mai pubblicato. Secondo me è il vostro punto più alto. Dove sono finite ironia e decostruzione punk, solide e in corrispondenza tra musica e testi? 

Aimone: È difficile dire le cose in maniera ironica, c’è stato un passaggio importante, un bivio in cui abbiamo rischiato di essere dei coglioni per il pubblico italiano.

Alessio: Cavalli è l’unico che non abbiamo registrato da soli.

Aimone: L’incomunicabilità col produttore, con chi registra dischi, è un problema che abbiamo ed un punto di forza. È l’unico che non abbiamo registrato da soli e abbiamo sofferto troppo. Abbiamo smesso di registrare in studi e con chi ci consigliava cosa fare, non perché non avessero ragione, ma perché non è il nostro. Ad un primo ascolto veloce, per la maggior parte che ascolta la musica per compagnia, semplicemente senza appassionarsici in maniera del tutto focalizzata, per molto di quel pubblico là automaticamente presentandoci come dei cazzoni, perdevamo di mordente, di serietà. Freak Antoni è uno dei più grandi ironici, con due palle tanto, il più grande decostruttore punk, quello che ha fatto è stato immenso, ma noi non siamo lui.

Alessandro: Non ci veniva più di scrivere così.

Alessio: Non ci veniva più perché non riuscivamo più, il disco è personale, non ha velleità di dare consigli, parla di istanti, di riflessioni individuali.

Aimone: Questo è importante e spiega la differenza con i dischi precedenti. Cavalli non è tanto diverso dall’ultimo, in otto anni provi tante di quelle emozioni, pensa a quante ne vivi in un giorno, cambi e cambia come rispondi a quell’istante. È una musica che continua, io lo sento il filo logico, è terapeutica, noi fin dall’inizio volevamo parlare delle nostre cose, che interessavano a noi, non ci fregava un cazzo di dirle generali.

Alessio: Cambiati gli ascolti cambiamo noi: cambiano i mezzi per dire le cose.

Aimone: Ho questa percezione anche quando sento dischi di altri, ci sono dischi che sono sicuro siano stati scritti senza energia, scritti perché dovevano essere scritti. Anche da questo punto di vista alla fine di Alaska abbiamo fatto di nuovo patto: fermiamoci. E poi abbiamo ripreso subito, perché siamo dei casi umani. 

DW: Passando ad alcuni testi dell’ultimo album: “Se Giuda fosse vivo dentro me / potrei tradire / i sogni che proteggo?” è una bella domanda per interrogarsi sulla maniera in cui preserviamo i nostri sogni più reconditi, al riparo dal rischio di maturare tradendo noi stessi. Che immagine “incerta” scegliereste per descrivere il vostro rapporto con la giovinezza? Vi sentite più vicini al rinnegarla o al preservarla?

Alessio: Rinnegarla no di sicuro, magari vederla in un modo malinconico.

Aimone: Non si può non prendere atto che le cose cambiano. E se non stai rinnegando il tuo passato, evidentemente era bello.. quindi sì, lo sguardo un po’ malinconico ce l’hai.. c’è chi le resiste di più alla malinconia: per noi i ricordi sono sempre più forti e rari, il presente più sbiadito. Magari fra qualche anno sarà questo l’anno più importante.. siamo nostalgici di tutto, della colazione di questa mattina, per esempio.

Alessandro: Ma come immagine: la quercia stanca?

Alessio: Il furgone. Dove entravamo e non sapevamo quando saremmo tornati dopo estati intere.

Aimone: Sala prove. Mi dà incertezza per cose tipo quest’estate che è esploso il il tubo, s’è allegata.. Suoniamo nella stessa sala prove identica dall’inizio. Col tempo è aumentata la strumentazione, adesso abbiamo un sacco di amplificatori, arrivano al soffitto, per suonare abbiamo a disposizione praticamente degli angolini, c’ha un volume devastante, e quella è probabilmente un’immagine importante. Non abbiamo sicuramente rinnegato la giovinezza, siamo ancora lì, facciamo di tutto per mantenerla ancora viva.

DW: Il politico è più volte tirato in ballo, sia pure col racconto del padre che vede sua figlia tornare a casa da una manifestazione. Giorni di gloria e Ignoranza: dire che “la ribellione è morta” ha un significato politico?

Aimone: A tutto puoi dare un senso politico. Come si dice?.. tutto è politico. Lasciamo aperta l’interpretazione. Perché ci piace. Questa è la musica: quando ascoltiamo canzoni di altri le facciamo nostre. Quindi ci piace, ma lo slancio non è politico. Viviamo delle incertezze, che non so se siano attribuibili ad una situazione politica o sociale difficoltosa. Sono certamente cose che sentiamo nostre, che proviamo. Giorni di gloria è nata da una conversazione che ho avuto una volta con mio padre riguardo i concerti. Non c’entrava nulla con la “piazza manifestare”, quello è stato un volo pindarico postumo. Parlavamo del mio andare in giro a fare il musicista, lui è appassionato e mi segue molto, è partito tutto da questa immagine. Io parlo con mio padre, una moglie parla col marito che parla con la figlia: sono situazioni che conservano poesia. Lui mi dice: io vedo in te la musica che piaceva anche a me, e mi sento parte di questa cosa. È una roba importantissima. E probabilmente chi vede il figlio tornare dalla piazza, e lo vede sconfortato, rivede in lui se stesso, ed è bellissimo, c’è sempre possibilità di rivivere delle emozioni che hai provato, sotto forma di una diversa percezione. Una volta eri te, una volta tuo figlio. È interessante e politico, perché crei consapevolezza. Ignoranza invece è più complessa, perché combatto col bipolarismo: sto dalla parte della ribellione? Oppure non è importante ma allacciarsi le scarpe comunque sì? Il testo è sbilanciato su tutti e due i lati. Vivendo dei momenti così strani in cui ti chiedi dov’è l’energia, e dopo ti dici che invece c’è bisogno di ribellione, l’unica soluzione è descrivere entrambi, scriverlo in quel momento, così ogni volta che lo canterai ti tornerà tutto dentro, sarai teletrasportato in quel momento di pensiero, e forse riuscirai a capirne e comunicare qualcosa. È per questo che descriviamo solo ciò che accade a noi. Non riusciamo poeticamente ad inquadrare una generazione, un quadro oggettivo. Anche questo rientra sotto il concetto di SCUDO FASK!..

DW: In che modo la letteratura influenza quello che fate? Paolo Cognetti nel libro “A pesca nelle pozze più profonde” racconta la pesca con la mosca come una tecnica narrativa; è curioso che tu Aimone l’abbia praticata in compagnia di un pescatore durante il tuo viaggio in Alaska e che proprio da quell’esperienza sia poi nato il testo di Montana.

Aimone: Alaska è Camus e Gide per esempio. Mi sono infottato della corrente esistenzialista, quando piove merda ti crogioli nella tristezza. Non rubo dai poeti, non imito con testi di fianco: la letteratura è un retaggio, rielaboro, ricostruisco. Il testo parte da un’urgenza e mi ritorna in mente quello che leggo, in immagini.

Alessandro: Io leggo molta letteratura postmoderna americana: Franzen, DeLillo, Roth. Siamo gente che gli piace leggere.

Aimone: Ad ogni modo l’ultimo disco non s’è mosso da questo, ma da analisi blanda di situazioni vissute. Tenera età è l’Alaska che ho visitato in viaggio, so esattamente dove mi trovo se penso a quella canzone: sono in Montana. Anche lì bipolarismo, stessa canzone scritta in quattro mesi, con pause di due/tre settimane. E di solito siamo stati sempre irruenti e incazzati: in un mese un pezzo. Per essere un bravo pescatore con la mosca devi studiare la natura, devi vedere come si comportano gli animali, io lo vedevo come il mio istruttore guardava le cose (nei posti più fighi dell’America, vabè!). La pesca con la mosca è una tecnica di scrittura, a contatto con la natura. Infatti l’ultimo album è microdescrittivo, più di Alaska che parlava di massimi sistemi (percorso per la dissoluzione umana, tendenza a rendersi sempre peggiori..).

DW: Oltre che Titus Andronicus, Queen of Hearts, Rolling Stones, Pearl Jam, da voi spesso tirati in ballo, citate in maniera diretta attingendo anche a livello italiano?

Aimone: Quello che abbiamo apprezzato di più per come scrive è Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti. Delicatezza, piccole immagini umane, ci fa impazzire. In generale ascoltiamo molto i testi, però restiamo chiusi in noi stessi, il comporre non è dunque influenzato dal contesto italiano, non ci filtriamo, tutto assomiglia a tutto, è un turbinio in cui non bisogna entrare. Non è un processo diretto, non è mai citazionismo diretto, forse è un filtro non voluto, ma non sappiamo neanche se c’è sempre. Musicalmente non siamo per niente italiani, i Titus Andronicus ci hanno influenzato molto, facciamo musica esterofila. Abbiamo preso molto dai The Replacements, che abbiamo ascoltato tantissimo. Solo Combattere per l’incertezza è citazionismo puro, voluto.

Jacopo: E l’attacco di Tenera età, e Tenera età in generale: Springsteen.

DW: In Woodworm siete in compagnia di artisti molto diversi da voi (Paolo Benvegnù, Dente, Giovanni Lindo Ferretti, Motta..): come si comporta un’etichetta e quali progetti attualmente in circolazione sentite più affini? Anche non Woodworm.

Jacopo: Edda, con l’ultimo album.

Alessandro: Giovanni Truppi.

Aimone: Motta lo sento vicino perché è amico nostro, abbiamo fatto il percorso assieme a Criminal Jokers e Appino, adesso che è esploso un po’ di senso di appartenenza ce l’abbiamo, ha dormito nella merda con noi, è un compagno di guerra!

Alessio: Per quanto riguarda Woodworm, sono persone a cui piacciono tipi diversi di musica, con Paolo Benvegnù per esempio ci collaboravano da anni, poi siamo arrivati noi. Mille incroci.

Aimone: Nell’idea generale l’etichetta ha una sua direzione..

Alessandro: Ormai non più..

Aimone: Accompagna le fasi di produzione: Gallorini (Marco, ndr) e Andrea (Marmorini, ndr), fonico e manager, sono amici che conoscono meglio di noi l’ambito musicale, ci consigliano dove e come stampare il disco e tante altre cose così.

Alessandro e Jacopo: Titus Andronicus e Arcade Fire ad oggi hanno la stessa etichetta, non esistono più etichette monolitiche più o meno dagli anni 90.

Aimone: To lose la track va un po’ in quella direzione. Noi siamo amici che si danno una mano sotto tutti i punti di vista, Woodworm non è quel tipo di etichetta che mette il cappello sopra l’artista, cerca piuttosto di esaltare l’artista stesso, noi ci sentiamo liberi ecco perché siamo lì. Garantisce professionalità, voglia di fare, libertà espressiva. Quando trovi situazioni così ovviamente è bellissimo, il massimo. Non mi sento insomma parte di una scena, ma di un gruppo di amici bello folto!

DW: Il vostro album italiano preferito uscito tra lo scorso e quest’anno?

Alessio: L’ultimo degli Zen.

Alessandro: La fine dei vent’anni di Motta.

Jacopo: Graziosa utopia di Edda, lo sto ascoltando tantissimo.

DW: Cosa non vi hanno mai chiesto e avete sempre voluto dire?

Jacopo: Non ci facciamo troppi problemi eh, diciamo il cazzo che ci pare..

Aimone: Come scegliete le persone che lavorano con voi? Ecco: con una complicatissima serie di test attitudinali fisici, psicologici, sessuali; e dopo un lungo training scegliamo: assolutamente i nostri amici.