Di Alice Bisi, in arte Birthh, vi avevamo già parlato in occasione del suo splendido debutto Born In The Woods. Giovanissima ma già tra gli astri nascenti della musica indipendente italiana, il suo esordio live è avvenuto al SXSW di Austin, Texas, tanto per rendere le cose facili. L’abbiamo incontrata prima che salisse sul palco dell’Astro Club di Fontanafredda (PN), per la rassegna musicale ThisAstro, e ci abbiamo fatto una bella chiacchierata. Ecco cosa è venuto fuori:

Sei molto giovane, ma hai già una sicurezza invidiabile su album e sul palco. Come e quando ti sei avvicinata alla musica?

È successo quando ero molto piccola, avrò avuto circa tre anni: mio nonno aveva questo karaoke che portava in giro, e io cantavo sempre queste canzoni assurde. Poi mio padre ha suonato in vari gruppi, sono sempre stata abituata a viaggiare molto con lui, e quindi erano le occasioni perfette per ascoltare nuove cose.

La tua carriera è iniziata qualche anno fa con il progetto folk Oh, Alice. Cosa ricordi con più piacere di quegli anni?

Era molto diverso: prima di tutto ero da sola, e questo è stato lo scalino più grande dato che Birthh è stata la mia prima volta con un gruppo. Suonare da sola ha i suoi vantaggi, però di sicuro la cosa più bella è che la vedevo come qualcosa di assolutamente non professionale, qualcosa che mi occupava i weekend tra un giorno di liceo e un altro, e invece adesso la vedo più con una professione. E comunque adesso che l’ho provato devo dire che preferisco decisamente suonare in un gruppo.

E infatti poi arriva Birthh, di colpo, con Chlorine. Questa evoluzione acustico-elettronica la dobbiamo a influenze particolari o è stato un naturale proseguimento dei brani folk che suonavi prima?

In realtà alcuni pezzi che sono finiti su Born In The Woods li suonavo già ai tempi di Oh, Alice, quindi è stato sicuramente un’evoluzione, c’era il desiderio di arricchire il suono e le canzoni stesse.

Di Born In The Woods apprezzo molto questo contrasto tra passaggi molto pieni e altri vuoti, decisamente scarni, come se gli Slowdive suonassero come James Blake. Era un po’ l’effetto che volevi dare?

Alla fine ci sono due tipologie di suono: quella degli strumenti organici e quella fatta al computer, o comunque processata. L’idea di metterle in contrasto mi piaceva molto, tutto qui.

Com’è nato Born In The Woods? Dato che molti temi dell’album paiono collegati, i pezzi sono nati uno dopo l’altro oppure hanno avuto una gestazione più complessa?

Come ti dicevo prima, alcuni brani li suonavo già ai tempi di Oh, Alice, quindi in generale i pezzi sono stati scritti nell’arco di tre anni. Comunque molti, quasi la metà, sono stati scritti in un periodo più ristretto.

Sempre parlando dei testi: com’è nata questa visione quasi apocalittica che si riflette nell’album? Dal veleno nel sangue di Chlorine a te che ti definisci Queen Of Failureland

Probabilmente sono arrivata ad un punto in cui erano successe delle cose un po’ tristi, tutte insieme. Anche il passaggio da adolescenza a età adulta è stato qualcosa di cui ho sofferto un pochino, quindi tutte queste cose insieme hanno portato a quei testi.

Mi racconti un po’ di (Bahnhof)? La prima impressione che ho avuto ascoltandola è che nel disco fosse finito per sbaglio un brano di Oh, Alice!

Quando c’è stato il momento di arrangiare i brani ho pensato che quel brano non avesse bisogno di nessun tipo di aggiunta. Ho deciso di includerlo perché secondo me ci sta, è proprio un bel pezzo.

Com’è per una ragazza italiana di 19 anni esordire live al SXSW?

È un po’ spaventoso e un po’ elettrizzante, nel senso che ti viene da dire “Wow, sto facendo una cosa proprio bella! Vado dall’altra parte del mondo e suono questo disco di cui sono proprio contenta!“. È un’esperienza, tutta la città si anima, è pieno di gente che suona, anche solamente l’atmosfera che si respira è unica.

Dimmi la verità: ti aspettavi questo calore e questa accoglienza per Born In The Woods quando scrivevi quei testi e registravi quei pezzi?

No, no, assolutamente. Avevo iniziato a fare questo disco solamente perché volevo suonare fuori, ed ero già riuscita a suonare tantissimo senza avere pubblicato nulla. Poi sono un po’ perfezionista, si sono aggiunte nuove persone, è stato naturale fare una cosa più seria, è nato tutto così.

E l’approdo alla We Were Never Being Boring com’è arrivato?

Avevo queste demo, il disco era già strutturato anche come tracklist, ho inviato mail a varie etichette e loro sono stata l’unica label italiana che ho contattato. Ho avuto ottimi riscontri anche in Inghilterra, c’erano delle etichette interessate, anche grosse. Però mi piaceva questo entusiasmo che ci mettono alla WWNBB, la voglia di costruire le cose piano piano, e la loro visione sia italiana che internazionale.

Con quale artista internazionale vorresti suonare assieme, fosse l’ultimo desiderio della tua vita?

Adesso mi viene da dire Tyler, The Creator: devo ancora capire se come persona ci è o ci fa, ma come musicista…

Visti questi interessi musicali parecchio eclettici ho un’ultima domanda: c’è un’evoluzione già in corso per Birthh?

Sì assolutamente. Stiamo già lavorando ai pezzi nuovi e non saranno assolutamente la stessa cosa del disco, anche perché non avrebbe senso. Quella non sono più io.

Grazie a Ruckus Crew e Astro Club!
Le foto sono di Margot Pandone e Chiara Mei.