Sono passati vent’anni da How Strange, Innocence, debut album degli Explosions In The Sky che ha dato il via alla loro fenomenale carriera. A vent’anni dal loro debutto torneranno in Italia per portare il loro Explosions In The Sky 20th Anniversary Tour, prima a Bologna (il 5 febbraio al Teatro Duse) e a Milano (il 6 febbraio al Fabrique). Questa è stata l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con la band texana: abbiamo parlato di purezza e dei cambiamenti dell’industria musicale; di film e di come si trasmettono i sentimenti con la musica strumentale. Queste sono le loro risposte.

DEERWAVES: How Strange, Innocence, un album da voi stessi definito “puro”, ha compiuto vent’anni. Cosa rimane, oggi, di quella purezza nel vostro modo di fare musica?

EXPLOSIONS IN THE SKY: Posso dire con tutta onestà che c’è ancora purezza nella nostra musica. Ognuno di noi scrive per proprio piacere personale e, a volte, ciò che scriviamo individualmente ha su di noi un impatto tale da spingerci a condividerlo con gli altri membri della band per farlo diventare una vera e propria canzone. A mio parere, questa è la forma più pura della gioia di creare musica. Iniziare da zero, prendere un elemento e vederlo fiorire grazie alla collaborazione e allo scambio con il resto della band. Ciò che vedi nascere finisce per entusiasmarti e lo riascolti ossessivamente pensando a come possa evolvere, a cos’altro si possa aggiungere. Tutto ciò non è cambiato da quando abbiamo iniziato a fare musica 20 anni fa.

DW: Dopo tutti questi anni, nella creazione di un brano, quanto spazio è ancora lasciato alla parte emotiva nella stesura di un pezzo? E quanto invece alla tecnica acquisita nel tempo?

EITS: Pensiamo solo vagamente alla tecnica; non ci hai mai attratti realmente. Ci sono tantissimi musicisti che sono davvero abili a suonare i loro strumenti, ma la loro musica magari non ci comunica nulla. Si tratta di approcci personali, ma le nostre canzoni sono interamente guidate da ciò che ci fanno sentire. Anche una semplicissima melodia costruita su due note, in un determinato contesto, può avere grandissima carica emotiva. Suoniamo e scriviamo in continuazione finché le melodie, le strutture e le testure sono capaci di coinvolgerci emotivamente.

DW: Qual è l’aspetto dell’industria musicale che più è cambiato negli ultimi 20 anni?

EITS: Da questo punto di vista, vent’anni sono un’eternità. Quando abbiamo iniziato, il nostro obiettivo era pubblicare un 45 giri. Non ci intimoriva l’idea di doverlo finanziare interamente o la possibilità che lo ascoltassero una manciata di persone, era il nostro sogno. Registrammo le nostre prove su un radioregistratore e finimmo per mettere insieme una cassetta con 3 canzoni che portammo nei locali di Austin in cui avremmo voluto suonare. Fare colonne sonore per film e serie TV ai tempi non era neanche lontanamente un nostro pensiero. Lo streaming ovviamente non esisteva – andavamo nel negozio di dischi più volte a settimana e ci spendevamo tutti i nostri soldi; i nostri pensieri legati al fare musica erano subordinati alla sua componente materiale – quante canzoni sarebbero rientrate sul lato di un vinile, che stile avremmo usato per l’artwork, che volantini avremmo fatto per pubblicizzare i concerti. Ripenso a tutto ciò senza alcun giudizio negativo nei confronti dell’epoca attuale – utilizzo i servizi di streaming ogni singolo giorno e mi piacciono moltissimo per la loro comodità. Spero il sistema continui ad evolvere diventando più giusto e vantaggioso per gli artisti.

DW: Attraverso i testi un musicista ha la possibilità di rendere la propria musica attuale. In che modo solo la musica strumentale riesce a riflettere un preciso momento storico? Cosa cercate di fare a questo riguardo?

EITS: Forse non ho sufficiente immaginazione, ma faccio fatica a pensare a come la musica strumentale possa comunicare gli eventi di un momento storico preciso. Si potrebbero utilizzare campioni musicali o vocali presi dall’evento stesso, o si potrebbe dare un titolo ispirato all’evento, ma la cosa meravigliosa che abbiamo scoperto della musica puramente strumentale è la totale libertà d’interpretazione offerta a chi l’ascolta. Faccio un esempio: una nostra canzone è intitolata “Six Days at the Bottom of the Ocean”. Mentre la stavamo scrivendo, sentivamo molte notizie legate al disastro del sottomarino Kursk. Abbiamo provato ad immaginare la vita in quel sottomarino e i sentimenti di chi era lì dentro per poi evocarli musicalmente. Abbiamo dato un titolo che riflettesse tutto ciò. Ma quella canzone è REALMENTE in grado di comunicare un messaggio legato a quell’evento? Direi di no. Forse sei in grado di apprezzare maggiormente la canzone se hai familiarità con l’evento che l’ha ispirata, ma penso che una grande maggioranza delle persone che l’ascoltano non sappiano nulla di ciò che l’ha ispirata e pensano il titolo sia una metafora. Penso che anche questo sia un modo ugualmente valido di approcciare una canzone.

DW: Dopo 20 anni di attività sentite di aver raggiunto una maturità artistica o ci sono ancora aspetti del vostro lavoro che sentite di dover migliorare o perfezionare?

EITS: Posso affermare con discreta certezza che non abbiamo raggiunto la maturità artistica. Forse lo dico perché spero che ci sia sempre margine di miglioramento. Come ho accennato parlando della tecnica, non penso ci sia qualcosa su cui dobbiamo “lavorare”. Ovviamente possiamo migliorare e diventare più abili, ma ciò che suppongo vogliamo fare è creare canzoni che ci emozionino. Tutto qui. Ci vuole dedizione e concentrazione e apertura mentale, tutti aspetti che vorrei sviluppare ulteriormente.

DW: Nell’ultimo periodo avete anche firmato molte film-score. Come cambia l’approccio quando si fa musica per un film?

EITS: L’approccio è molto diverso. Se scrivere un nostro album può essere paragonato a dipingere un paesaggio, scrivere una colonna sonora è come colorare un disegno già esistente o aggiungere dei dettagli. Quando lavoriamo ad una colonna sonora, non cerchiamo di creare un’opera a sé stante. cerchiamo di far sì che una determinata scena venga presentata nel miglior modo possibile seguendo la visione del regista. Se attraverso una scena, il regista vuole comunicare una determinata emozione, quello è il nostro lavoro. Un album invece cerca di imprimere una determinata immagine nella mente di chi l’ascolta.

DW: Mogwai e Mono sono due band che avete sempre dichiarato di ammirare. Ci sono artisti – che producono musica diversa dalla vostra – che vi ispirano oggi?

EITS: Per restare in tema, negli ultimi anni mi ha molto colpito la qualità delle colonne sonore dei film e delle serie TV. Jonny Greenwood, Trent Reznor e Atticus Ross, Max Richter, Nicholas Britell (ho amato profondamente ciò che ha fatto per If Beale Street Could Talk), Ben Salisbury e Geoff Barrow (Annihiliation), Fatima al Qadiri (The Atlantics). Mi ha lasciato senza parole la colonna sonora di Chernobyl scritta da Hildur Gudnadottir. Altri artisti che ho amato di recente sono Weyes Blood, Four Tet, Robert Haigh (Black Sarabande), Loscil (Equivalents) e Burial (Old Tape).

DW: The Wilderness è stato in parte un’evoluzione del vostro stile. Quali saranno le prossime mosse della band da questo punto di vista?

EITS: La scorsa settimana siamo stati impegnati nelle prove per il prossimo tour e almeno una volta al giorno, dopo aver suonato una canzone, siamo finiti a parlare di cosa ci piacerebbe fare nel prossimo disco. Vorrei potervi dire di più, ma la realtà è che non abbiamo idea di cosa faremo e lo scopriremo solo quando ci metteremo a scriverlo. So per certo che CERCHEREMO di sperimentare. Non sapremo però se questa sperimentazione avrà successo finché non ci avremo provato.