Savages
Adore Life

Esiliarsi a New York per dar vita al seguito di Silence Yourself: è questa la scelta intrapresa dalle Savages, che non tradiscono il loro trademark post-punk pur sfornando un album meno adrenalinico ma più maturo e intimo. “Is it human to adore life?”

Beyonce
Lemonade

Un album estremamente politico e figlio del suo tempo, Lemonade segna il passaggio definitivo di Beyoncé da cantante ad artista: dispiegandosi dal personale all’universale, racconta di un tradimento per poi arrivare a raccontare dell’essere donna, nera e americana nel ventunesimo secolo, e lo fa con una complessità che, in musica, riesce a traducersi in un’opera polimorfa ed imponente.

Money
Suicide Songs

Suicide Songs, parto di un gruppo in stato di grazia, arriva a imporsi nel panorama musicale del 2016 senza nemmeno bisogno di sgomitare. Jamie Lee si conferma autore di primissimo livello, la cui personalità riesce a splendere alta sopra i Money senza fagocitarne la creatività.
Kendrick Lamar
Untitled Unmastered.

Pronti via, così, dal nulla, fulmine a ciel sereno: ci svegliamo una mattina e Kendrick Lamar ha pubblicato un nuovo disco. untitled unmastered. è poi un non-titolo molto eloquente: si potrebbe pensare, lecitamente, che i pezzi siano degli outtake e, almeno sulla carta, lo sono, ma il livello è sempre e comunque molto alto. Ancora una volta Lamar si presenta come l’uomo del Rinascimento musicale degli anni ’10, colui che ha riportato in auge l’intreccio concreto tra musica e vita quotidiana.

Tim Hecker
Love Streams

Droni rumorosi e sporcizia latente, luminosi squarci di synth e chitarre rielaborate, una forte presenza di voci per tutta la durata del disco. Love Streams contiene gli ingredienti noti dell’arte di Tim Hecker ma ha il grande merito di aggiungerne di nuovi, lasciando intravedere il divenire futuro dell’artista canadese e della sua musica.

Pinegrove
Cardinal

I Pinegrove non sono di certo una sorpresa in questo 2016 e l’occhio lungo di Run For Cover ha potuto dare visibilità al loro progetto. Cardinal riesce a far coesistere: il lo-fi, l’alt folk e l’emo, una band fatta di sottili equilibri, sempre sul punto di tracimare oltre la diga di emozioni recondite; tre stanze che al loro interno contengono il passato, il presente e il futuro, dove echeggiano persone, parole e fragorosi silenzi.

Porches
Pool

Aaron Maine ci trasporta su un dancefloor preparato all’ultimo momento con dei pezzi trovati lungo il proprio cammino. Le chitarre vengono lasciate in cantina soppiantate, totalmente, dalle lucide tastiere anni ’80. La piscina è un letto, l’acqua è orgasmo e la notte diventa un luogo dove vivere tutti i giorni della nostra frenetica vita, finalmente con pigrizia e tranquillità. Pool è leggerezza dove le parole non sono solo la superficie, ma colpiscono nel profondo.

American Football
American Football

Sarebbe troppo semplice snobbare il ritorno degli American Football perché troppo legati al capolavoro del 1999, o semplicemente perché fuori tempo massimo. La verità è che Mike Kinsella è cresciuto, la sua esperienza come Owen si sente, ma va benissimo così. Gli American Football oggi sono un gruppo di amici che hanno deciso di riprendere il filo di un discorso interrotto troppi anni fa, e che nelle pieghe di quegli arpeggi e di quei testi hanno ritrovato loro stessi, diciassette anni dopo.

Andy Stott
Too Many Voices

L’album del 2016 di Andy Stott è quello che ne determina una virata rispetto a quanto ci aveva abituato, seppur non così decisa. Too Many Voices è un album con tracce mediamente lunghe, notturne e nostalgiche, alle volte cupe ma in un contesto, quello dell’album, che si lascia ascoltare senza tanti patemi. Forgotten con i suoi suoni pitchati e discendenti è forse una delle migliori dell’album, con una bassline che la rende il sotto testo ideale di un viaggio in notturna in autostrada. Così come la title track che conclude l’album: una voce eterea sopra un basso cupo che va a costruire un climax che alterna calma ad atteggiamenti ansiogeni, come nei movimenti della danza moderna.

PJ Harvey
The Hope Six Demolition Project

Il rock di Polly Jean non ha bisogno di troppi aggettivi che lo distinguano da quello con cui nel 1992 in Happy Bleeding celebrava la perdita della sua verginità, ma è da tempo che la sua sensualità innata ha smesso di aver bisogno di coprirsi di rossetto rosso e sfacciataggine. Tra le contraddizioni dell’America e gli scenari post bellici di Kosovo e Afghanistan, il songwriting di PJ si fa cronaca che vive di dettagli, impersonale e allo stesso tempo estremamente toccante, in nuovi territori sonori in cui si muove con una fluidità inedita e solenne.