Oggi abbiamo selezionato per voi le migliori 30 release internazionali del 2019. Dischi bellissimi che non potete perdervi. È una classifica bella variegata, per tutti i gusti. Ci sono conferme e nuove rivelazioni, artisti discussi e altri emergenti.

Un viaggio nel 2019 musicale fuori dall’Italia che potete anche ascoltare direttamente dalla nostra playlist creata apposta.

25 Ariana Grande – Thank u, next

Ariana Grande non è musica per ragazzini/e. In questo disco Ariana prende il meglio del meglio del pop del decennio appena passato e lo re-interpreta a modo suo, grazie a quella che è la migliore voce in circolazione oggi su questo pianeta. Abbiamo quindi un po’ di Rihanna, un po’ di c’è Kelela, ci sono gli acuti di FKA Twigs e i rimandi al pop più radiofonico di Charli XCX. Il tutto ricoperto da una glassa di ritmi che definire trap è riduttivo, forse nu-trap o nu-nu-R&B ha più senso? Fate voi, il punto è che il pop, quando non scade in banalità e paraculate di vario tipo è sempre un piacere ascoltarlo e apprezzarlo.

24 American Football – American Football (LP3)

Gli American Football sono gli American Football anche in questo disco, quelli melanconici e dalle chitarre squillanti e inconfondibili, ma i suoni diventano più ambiziosi, più grandiosi e più vicini al post-rock che al math. American Football (LP3) è il manifesto di quello che può essere un emo più adulto, non più legato a sentimenti adolescenziali ma cresciuto anche grazie a questi: gli American Football sono ormai il volto dell’emo anche grazie alla loro capacità di restare fedeli a sé stessi senza rinunciare a cambiare le carte in tavola.

23 Clairo – Immunity

Sono passati esattamente due anni da quando Claire Cottrill, in arte Clairo, è apparsa su Youtube con il suo primo vero singolo Pretty GirlImmunity è un bel lavoro leggero, malinconico e riflessivo di una giovane ragazza – da poco non più teenager, un ottimo punto di partenza per un genere così sovraffollato, un disco da portare in vacanza e anche buon per concludere questo decennio, del quale Clairo è figlia, musicalmente parlando. Le idee e le basi ci sono tutte: lavorare con ROSTAM non può che far bene e se continua su questa strada è difficile immaginarsi grossi errori o cadute irrimediabili.

22 CHAI – PUNK

Le CHAI non vogliono essere prese in giro e lo chiedono con i punti esclamativi nel brano centrale del loro album PUNK (This is Chai): “Don’t kidding me…this is CHAI“. Il loro concept dichiaratamente neo kawaii intende rompere canoni di bellezza, pregiudizi e stereotipi patriarcali, ma anche quelli musicali sul j-pop. Quello di PUNK è, in realtà, una gran caciara di pop brillante e ballabile, con testi mezzi in inglese e mezzi in lingua originale. Le influenze faranno arrabbiare i puristi del genere, essendo infatti più vicine a The Tings Tings Le Tigre, come se queste quattro ragazze volessero dirci che il punk è solo una forma di ribellione a prescindere da suoni ed immagini preconfezionate.

21 Brockhampton – Ginger

Ginger è un atto di redenzione sotto forma di viaggio che ripercorre le vite degli stessi componenti del collettivo di San Marcos nel Texas. Il tempo deterrente che il gruppo si è preso dopo aver pubblicato SATURATION ISATURATION IISATURATION III e iridescence nel giro di poco tempo è servito a mettere ordine nelle penne e soprattutto nella testa degli autori, con una maturità notevole nei pezzi più impegnati come NO HALODEARLY DEPARTED e BIG BOY.

20 Slowthai – Nothing Great About Britain

Innamorati di Nothing Great about Britain già dal primo ascolto. Un album lungo e denso, pieno di invettive contro tutto e tutti e con collaborazioni importanti (Mura Masa, Skepta). Il giovane slowthai, di casa a Northampton, è la cosa più punk che il mondo del grime e del rap britannico possano offrire in questo momento. Sguaiato e selvaggio come uno scappato di casa, tagliente ed ironico come uno che sa andare oltre le cose. Se ti capita vallo a vedere live.

19 Purple Mountains – Purple Mountains

È molto difficile celebrare un disco uscito qualche giorno prima della scomparsa del suo autore. David Berman si è infatti suicidato lo scorso agosto e Purple Mountains, primo disco dell’omonimo progetto, è per noi un lascito preziosissimo. 10 tracce pregiate, 10 perle di raffinatezza e cura uniche che costituiscono un viaggio nel sottobosco umano fatto di dolori, incomprensioni, difficoltà, sofferenze. Tutto raccontato con l’autentica schiettezza di chi non ha paura di mostrare i propri demoni, tutto raccontato col supporto di musiche cucite e rifinite con l’abilità di un maestro.

18 oso oso – basking in the glow

Arrivato all’improvviso, Basking In The Glow è un raggio di sole inaspettato sul panorama emo nel 2019. Quello che stava diventando un genere stantio, fermo ad aspettare gli album dei soliti noti, ha trovato un nuovo degno rappresentante. Non sappiamo se questo album è destinato a cambiare la scena, come fatto da Hotelier e The World Is A Beautiful Place…, ma speriamo di sì. Di sicuro è una delle lettere a cuore aperto più intense che vi capiterà di ascoltare in questi mesi. E, fidatevi, lo riascolterete molte volte.

17 Wilco – Ode to Joy

Non pensate comunque di trovarvi davanti un album di buoni sentimenti e positività: il disco, più che della libertà di gioire, sembra parlare di tutto quel resto che sta andando a puttane, e il mood rimane in massima parte malinconico. Ode to Joy arriva dopo un periodo prolifico per Tweedy, che si è imbarcato in progetti e progettini paralleli tra cui la scrittura della propria biografia, la produzione di un altro album dell’icona soul Mavis Staples e ben tre dischi solisti. Una roba che neanche Ty SegallOde to Joy é il miglior disco dei Wilco da Sky Blue Sky (2007). Un album di sentimenti dichiarati e di paure rivelate, di musica calibrata e ridotta all’osso.

16 Bon Iver – I, I

i,i riesce nell’impresa di sintetizzare in un’unica opera la discografia di Bon Iver, facendo coesistere con maestria gli elementi distintivi di ciascun album: il minimalismo e l’autenticità di For Emma, Forever Ago, la complessità disarmante degli arrangiamenti di Bon Iver, Bon Iver, la destrutturazione, l’ermetismo e la sperimentazione in chiave elettronica di 22, A Million. Con questo disco si chiude il primo ciclo del progetto, lasciando un enorme punto interrogativo sul suo futuro. La crescita artistica di Justin Vernon non può prescindere dalla rivoluzione: non possiamo dare per scontato che la storia di Bon Iver si arricchisca di un nuovo capitolo, ma, se mai dovesse arrivare, possiamo scommettere che, nel bene o nel male, ci lascerà a bocca aperta.

15 Better Oblivion Community Center – Better Oblivion Community Center

Better Oblivion Community Center è l’omonimo album del progetto di Phoebe Bridgers e Conor Oberst nato al sole della California. Un album ispirato che sintetizza l’incontro di due generazioni che sanno raccontare, insieme, una comune genesi autoriale folk che non scade mai nel banale e nel dozzinale. Si tengono a stento le lacrime mentre le chitarrine soffiano nella brezza di un album capace di arrivare a tutti. Anche a quelli che non amano perdersi nella nostalgia.

14 Solange – When I Get Home

L’uscita a sorpresa di un disco come quello di Solange ha preso enorme tempo alla critica musicale. Poco conta che a molti questa manovra musicale free-jazz e l’allontanamento dalle classifiche non sia andata giù, Solange ha fatto uscire il disco giusto al momento giusto. Chi critica l’onnipresente vena black, dubitandone il carattere, l’emotività e il suo motivo, non si rende conto dell’importanza di un messaggio simile in un momento come questo, sopratutto per chi a Houston, e negli US in genreale, ci vive. Quello di Solange può non essere un disco per tutti, ai giorni nostri però, la propria interpretazione risulta essere una vera pepita dal valore artistico e spesso emotivo più forte che mai.

13 Thom Yorke – Anima

Anima sprigiona la sua natura ansiogena pezzo dopo pezzo, un viaggio dichiaratamente oscuro e grottesco: tra il declino della nostra società e la ricerca ossessiva di un’identità. Un sogno allucinato che è diventato anche un cortometraggio diretto da Paul Thomas Anderson. Anima segna un grande traguardo nella carriera di Thom Yorke e scioglie il nodo formatosi con lo zoppicante Tomorrow’s Modern Boxes. Un disco che rivendica la propria ideologia per tutta la sua durata, un caleidoscopio progettato chirurgicamente per farci tornare a sognare, anche se avete perso i vostri sogni.

12 Diiv – Deceiver

In seguito a questo lungo percorso, al terzo disco i DIIV hanno fatto in modo di poter toccare il terreno con i propri piedi, lontani adesso dagli alti suoni delle chitarre echeggianti dei primi due dischi. Zachary Smith e compagni si sono decisi a lasciare da parte i pensieri sognanti di giorni troppo fuori dal mondo e riprendere ora visione di ciò che gli accade intorno. La realtà che la band è riuscita a creare adesso è palpabile e il rispetto che bisogna portare verso una figura come Smith dovrà, da questa parte, essere immenso, perchè il sound dei DIIV adesso riecheggia significando maturità in tutti i modi e non soltanto regalandoci un disco dalle immense chitarre.

11 James Blake – Assume Form

Nascosto dietro l’ormai classico suono che lo caratterizza, James Blake decide di raccontarsi al proprio pubblico, a distanza di una decina di anni dal proprio debutto. Ciò che Assume Form disegna sono l’apertura emotiva e la sicurezza psicologica ottenute con la creazione di uno spazio personale, un trasferimento oltreoceano e la nascita di un amore maturo. È questo, forse, il miglior brano mai scritto dall’artista inglese, toccante in quanto massima espressione della propria persona: Blake va contro chi lo crede legato per sempre alla propria miseria quando, invece, per la prima volta, può esprimersi pienamente e schiettamente.

10 Vampire Weekend – Father Of The Bride

Reduci dalla dipartita del genio di Rostam (che però compare più volte nel disco), i Vampire Weekend devono fare totale affidamento sull’altro genio della band: Ezra Koenig. Come suggerirci la copertina dell’album, è un lavoro globale, che tocca diverse aree geografiche e momenti storici sia per quanto riguarda le liriche che per le sonorità. FOTB è disco di livello altissimo, portandoli definitivamente sul trono delle miglior band indie-rock. Un continuo rinnovarsi, mantenendo il loro stile inconfondibile da Cape Cod Kwassa Kwassa a This Life, nonostante gli anni e tutti i cambiamenti.

09 Tyler, The Creator – IGOR

IGOR, quinto album dell’artista Tyler, The Creator, prende una deriva emotiva rispetto alle sensazioni provate in Flower Boy e, seguendo l’attitudine del precedente Cherry Bomb, racconta l’appassimento di un importantissima relazione, scaturito dalla presenza di una fredda figura del passato. L’artista vive da tempo il suo momento più fragile, iniziato nello sbocciare del Flower Boy, lavoro che in tutti i modi ha richiesto una voce e che infatti non ha avuto bisogno dell’anonimato, ora però offuscato in quanto parentesi speciale nella vita di una persona umanamente semplice ed emotiva come tanti.

08 (Sandy) Alex G – House Of Sugar

Tra i compositori della corrente lo-fi rock dei giorni nostri, (Sandy) Alex G rimane sicuramente il più complesso, portando il proprio percorso narrativo ad esprimere l’assurdità delle vite più degenerate (Hope) e i racconti personali dal sentimento più puro (Cow, In My Arms). Le problematiche cantate dall’artista seguono musicalmente la nuova corrente esoterica intrapresa dai diversi artisti del genere e il suono di G, adesso diventato più etereo, spesso ora si avvale di glitch, altre volte astrae in atmosfere simili a quelle del vecchio collaboratore Oneohtrix Point Never, perdendo l’elemento classico, l’americana dei brani pù acustici, e seguendo altre vie, ottenendo la canonicità dei brani più astratti dei vecchi dischi in un modo diverso.

07 Weyes Blood – Titanic Rising

Il quarto lavoro di Natalie Mering è invece uno di quei rari album la cui bellezza è maestosa e travolgente, di quelle che ti impediscono qualsiasi razionalizzazione critica e finisci per dire, semplicemente: che bello. Potremmo soffermarci a parlare di quanto Titanic Rising sia ispirato al pop anni ’70, potremmo citare i richiami ai Beatles (George Harrison in primis) come i parallelismi con grandi cantautrici come Joni Mitchell e Nico, potremmo sottolineare quanto la penna di Weyes Blood sia raffinata al pari della sua musica e della sua voce – e sarebbe tutto valido, ma Titanic Rising è uno di quei pochi lavori che dissezionare significa limitare, un’esperienza immersiva che vive della sua totalità.

06 Fontaines D.C. – Dogrel

Negli ultimi anni il punk sembra essere rinato come strumento sociale per dare voce agli ultimi, tornando nelle mani della working class. Nel caso dei Fontaines D.C. l’attenzione si sposta dall’Inghilterra all’Irlanda del Sud, l’accento è quello dublinese, il mezzo è diverso, il fine è simile. All’apparenza Dogrel è un album di debutto fratello degli IDLES e degli Shame, ma è al terzo, quarto ascolto che la ripetitività di brani come Too RealHurricane LaughterBigBoys in the Better Land diventa corale, permanente. Dogrel dà voce alle contraddizioni di una generazione cinica ma incapace di negare le proprie radici, con un piede nel presente e uno nel passato.

05 Lana Del Rey – Norman Fucking Rockwell!

NFR! è un’impasto minimalista di influenze blues, folk e soft rock che tocca il punto più alto con Venice Bitch, inizialmente lento acustico che si trasforma in un trip noise-psicheledico, capace di raccontare in nove minuti tutta la malinconia della fine dell’estate, mescolando la chitarra elettrica e brillanti cambi alla batteria alle liriche (And as the summer fades away/Nothing gold can’t stay – quest’ultimo rubato al poeta Robert Frost). Con NFR! Lana Del Rey supera la fama che per anni l’ha preceduta imponendosi sia come artista sia come donna. Gioca senza esagerazioni col vintage e la malinconia, mescolando poesia e glamour nostalgico. Ha lanciato una sfida al mondo del pop, quello dei brani da tre minuti e dalle sonorità precotte, con un lavoro poco commerciale ed ancor meno radiofonico. Ma la sfida è anche contro se stessa. La strada che ha imboccato è precisa e molto coraggiosa perché a meno che tu non ti chiami Madonna non puoi più fare marcia indietro.

04 Big Thief – U.F.O.F.

UFOF  è un disco che si avvicina in punta di piedi, con cui si familiarizza piano piano. Adrianne, Buck, Max e James – la non convenzionale “famiglia” Big Thief –  hanno deciso con UFOF (l’ultima F sta proprio per Friend) di approcciare la materia forse più complicata, maneggiandola squisitamente bene, tra anelli di Saturno (Cattails), angeli (Open Desert) e costellazioni (Strange). Non c’è un singolo vero e trascinatore com’era stato probabilmente Shark Smile ai tempi di Capacity (2017), ma ogni pezzo è un microcosmo di una bellezza disarmante: dalle inaspettate chitarre sul finale di Contact al delicato esistenzialismo di Terminal Paradise. Etichettarlo come indie-folk – bucolico, oscuro, etereo, aggettivatelo come volete – è come la fatica di Sisifo, inutile, perchè UFOF parla sussurra e suona in un linguaggio tutto suo, curioso e primordiale.

03 Angel Olsen – All Mirrors

È da qualche album a questa parte che Angel Olsen dimostra di giocare in un campionato a parte dal resto del cantautorato contemporaneo: una voce cantautoriale in costante movimento e un sound che riesce a catturarne il cambiamento, a mostrarne le influenze, ma al contempo restando inspiegabilmente sospeso fuori dal tempo. L’esperienza d’ascolto di All Mirrors è quella di un coinvolgimento totale in cui si è parte del disco e fuori dal resto. La Angel Olsen di My Woman era quella che conquistava la sicurezza di poter fare della sua musica quel che voleva; All Mirrors riesce invece nell’impresa ambiziosa di fuggire ad una facile definizione di genere musicale pur conservando una qualità rara: quella di essere immediatamente identificabile come un’opera di Angel Olsen.

02 FKA Twigs – MAGDALENE

MAGDALENE è la definitiva consacrazione di FKA twigs, se mai fosse servita. L’artista britannica raggiunge la completa maturità con un disco profondo e pieno di sentimenti. Con un dream team di produttori (Nicolas Jaar, SkrillexNoah Goldstein, Jack AntonoffBenny Blanco) tira fuori un capolavoro che solo lei è grado di interpretare oggi su questo pianeta. Un susseguirsi di scenari, ritmi e soprattutto feels che ti lasciano a bocca aperta, sia su disco che dal vivo. Tahliah è riuscita, nuovamente, a capovolgere il tutto mondo della musica con un album probabilmente irripetibile per potenza, intimità e innovazione.

01 Nick Cave & the Bad Seeds – Ghosteen

Ghosteen è l’album con cui Nick Cave fa i conti con la morte del figlio Arthur, abbassando la voce. È un’opera di riflessione, il tentativo non di medicare una ferita insanabile, ma di coltivarla, di renderla, anziché purulenta, un terreno coltivabile di fiori, di verde. Nick Cave ci dice che non si fugge al dolore. Forse è questo messaggio, alla fine, ad essere il precipitato di Ghosteen, l’unica piccola pietra di razionale in un album in cui, invece, predominano, soprattutto nell’anima di chi ascolta, le visioni di figure inesistenti, sfuggenti e fantasmatiche, velate di malinconia e nostalgia. Un album talmente intimo e sofferto da diventare il suo perfetto opposto: un album universale e di tutti. Purtroppo, di tutti (e non a caso, inizia proprio con una canzone spostata apparentemente altrove, su Elvis Presley).